Eduardo Parascandolo è l’originale protagonista di questa piécè teatrale il cui umorismo parte da dati e tratti eminentemente napoletani ed evolve oltre questi limiti dilagando in un aura surreale.
Quessto mix rende la commedia con i suoi espedienti, inossidabile all’attacco del tempo, sempre vitale, bisognosa solo di un interprete di gran polso.
Il marchese Parascandolo ha dilapidato il patrimonio di famiglia conducendo la “bella vita”. Ormai povero si muove con noncuranza nel suo nuovo stato, lo aiuta in questo la conoscenza degli scritti di Platone dai quali ha appreso, a suo dire, lo Stoicismo.
Nei vicoli popolari del ventre di Napoli è conosciuto come “O’ Prufessore”, per diletto impartisce lezioni di filosofia “Stoica”, secondo lui necessaria per poter vivere senza l’assillo del denaro.
Con le sue parole convince chi lo ascolta, in particolare Vincenzino Esposito, suo discepolo prediletto e poco incline al lavoro: il denaro non serve per vivere, la società che ci circonda percepisce l’idea della ricchezza, non la ricchezza in sé.
Quel che conta è comportarsi e atteggiarsi come se si avesse molto denaro, così che tutti lo pensino e lo credano,e tributino rispetto e credito: a che servono questi quattrini?
Così, parlando e filosofando, Parascandolo, con fascino e destrezza, sottrae a Vincenzino l’eredità da questi ricevuta, ormai a lui non più utile avendone acquisito la fama.
Quando la situazione poi precipita, con un colpo di genio il Marchese combina all’allievo prediletto, un lucroso matrimonio con la sorella di un agiato pastaio.
Così, per il rotto della cuffia, lo “Stoico” Parascandolo riesce a guidare la commedia verso un brillante lieto fine.