Peppino De Filippo fu, nel 1941, il primo attore ad intrpretare il ruolo del cuoco Vincenzo Esposito in palcoscenico.
Fu subito un successo, il testo era ottimo e l’interprete ne era più che degno.
Questo ruolo è difficile da interpretare perché non è un personaggio simpatico, piacione, e neppure una simpatica canaglia, è molto peggio.
Vincenzo Esposito non è mariuolo, è ladro; ed in più superbo, volgare, impiccione, violento e soprattutto, in malafede.
Dal 1941 questo personaggio, creato da Armando Curcio si insinua nella mente e nel corpo di Peppino De Filippo.
E Peppino è quello stupendo animale da recitazione, anche estemporanea, che tutti abbiamo ammirato e che ammiriamo ancora oggi.
Con uno spirito veramente partenomediterraneo quest’attore acchiappava la comicità nell’aria e la frullava con il corpo e con la voce, per farle prendere l’andamento da lui voluto.
Non dimentichiamo che Peppino e i suoi fratelli non solo hanno recitato fin da neonati, ma ascoltavano gli spettacoli tutte le sere, dopo averli visti provare con le indicazioni del capocomico Eduardo Scarpetta.
Peppino quindi, anche senza volerlo, dentro di sé, forse inconsapevolmente, “giocava” con Vincenzo Esposito.
Occorre infine non dimenticare che anche lui, come il fratello Eduardo è Autore di commedie belle e divertenti, che soffrono della malattia tutta italiana del “paragone”. Certo che non è il teatro di Eduardo, è quello di Peppino!
Senza togliere nulla alla grandezza del primo non si può e non si deve trascurare il secondo.
Pappagone è l’ultimo respiro della Commedia dell’Arte, ultima maschera italiana.
Ben riconoscibile dal vestito/ costume a righe, largo e corto, dal vistoso cappello lussuoso posato su di una capigliatura lisciata, composta da capelli irti ed ispidi “leccati”, ma dai quali un ciuffo ritto testimonia, al centro della testa, l’indomabilità.
Un volto largo, dal sorriso aperto ma astuto, occhi ammiccanti e furbi, un corpo robusto e solido, lento nei movimenti eppur capace di scatti e guizzi immediati.
Di lui il suo Creatore e Maestro e Autore ai documenti ancora esistenti negli archivi della Rai, ai 41 volumetti difumetti, ci ha lasciato anche un vocabolario e una “Filastrocca di Aitano Pappagone”.
E con questa filastrocca vogliamo chiudere questo scritto, essa farà da presentazione a quanti, oggi, a più di 30 anni dalla morte dell’Autore e della sua creatura, non hanno potuto conoscere l’ultima maschera italiana.
FILASTROCCA DI AITANO PAPPAGONE
di Peppino De Filippo
Mi chiamo Pappagone,
sono un grande ignorantone,
quando parlo l’italiano
non si sa se son siriano,
turco,russo,oppure che…
e vi dico il pirichè:
Quando al mondo son venuto
il cervello s’è perduto.
Una lingua mal creata
La favella m’ha ‘nguaiata.
Sulla Testa i miei capelli,
sempre ruvidi e ribelli,
sull’occipite un riccetto
fa più stupido il mio aspetto.
Sì lo so che sono fesso,
ma felice son lo stesso.
Già che al mondo ci si viene
Una volta, allor conviene
Che la vita te la spassi
Senza misurare i p assi.
Se vuoi vivere felice,
non sentir quel che si dice.
Fai lo scapolo e vedrai
Sempre libero sarai.
Se vuoi star di di buon umore
non recarti dal dottore
Puoi curar la malattia
Sempre stando in allegria.
Chi di solito si lagna,
la scalogna l’attaccagna.
Se vuoi farti molti amici,
fatti prima assai nemici.
Ti diran che sei sincero
Solo se non dici il vero.
Non uscire con l’ombrello
Quando fuori il tempo è bello.
Quando scoppia il temporale,
mangia pane pepe e sale…
Più la rima non mi viene
E finire mi conviene.
Questa storia , si capisce,
non aiuta nè istruisce.
E’ servita solamente
Per sentirci allegramente.
Ora fò corna e bicorna
Ed a casa me ne torno.
Pappagone se ne va
Ripetendo ecque qua!
Emanuela Catalano