Il Castello di Baia
Vi proponiamo un ampio stralcio di un articolo di Luigi Capuano, pubblicato dalla rivista l'Alfiere, a titolo "Il Castello Aragonese di Baia". Tra i tanti aneddoti sulla storia pluricentenaria del Castello di Baia, molto "gustoso" il racconto di come il Castello fu salvato dai Tedeschi nel 1943.
La storia del Castello di Baia - Bacoli
Il Castello di Baia sorge su un'altura scoscesa della costa nel Comune di
Bacoli e secondo le principali fonti storiche e letterarie (Tacito,
Seneca) esso si erge nel luogo dove sorgeva la villa di Giulio
Cesare. Conserva una maestosa mole quadrata e occupa una
superficie di 45000 mq., con un'altezza sul mare di 94 metri
circa.
La massiccia struttura del forte è l'insieme di fortificazioni
costruite e sovrapposte nei vari secoli.
Il grandioso aspetto che la fortezza ha tutt'oggi è da attribuire
soprattutto all'opera del viceré don Pedro Alvarez de Toledo
che lo ampliò e lo perfezionò nel 1531, restaurandolo dopo l'eruzione
del Monte Nuovo (1538).
Nel 1544 la fortezza e i suoi
uomini riuscirono a respingere l'attacco del corsaro Khair Addin,
detto il Barbarossa, forte di 150 vascelli e reduce dalla
depredazione di Ischia.
C'è da dire che il Castello a quell'epoca esercitava i diritti di
ancoraggio cioè il pagamento cui erano soggette le navi per
ormeggiare nei porti del Regno.
Il 1707 vedeva le armi austriache fare il loro ingresso nel
Regno di Napoli, malamente difeso. Come si ricorderà la
morte di Carlo II re di Spagna, senza eredi, nel 1700 aveva
lanciato la nazione in una sanguinosa guerra con la casa
d'Austria, destinata a passare alla storia col nome di guerra di
Successione Spagnola. I pretendenti erano: Filippo duca
d'Angiò. nipote del re di Francia Luigi XIV e l'arciduca Carlo
secondogenito di Leopoldo I imperatore di Germania. Così
mentre in un primo momento le sorti della guerra sembravano
volgere in favore di Filippo, nel 1707 le truppe imperiali
d'Austria ebbero la meglio. Purtroppo non facendo eccezione
alla regola, la fortezza di Baia fino ad allora uscita sempre vittoriosa
dagli scontri, essendo malamente armata e potendo
contare soltanto su una cinquantina di uomini, e non tutti in
efficiente forma fisica, assaporò l'amarezza della capitolazione.
Il 1799 vedeva il Castello impegnato in una lotta mortale
contro gli Inglesi, i quali il 17 giugno, mentre Francesco
Caracciolo presidiava il canale di Procida, occuparono astutamente
il Forte di Baia, sbarcati da imbarcazioni leggere, senza
essere scorti se non quando ormai già troppo tardi. Il
Castellano, marchese don Carlo Mauri, distintosi in altre occasioni
per le sue doti militari, veniva arrestato e imprigionato.
Il Castello di Baia : il ritorno dei Borbone
Il 2 giugno del 1815, all'ombra del Castello faceva ingresso
nel porto il vascello inglese "The Queen", scortato da altre
navi, a bordo del quale vi era Ferdinando IV di Borbone che
ritornava sul trono dopo la caduta di Gioacchino Murat. Il re
rimase a Baia fino al giorno 7 e risale proprio a questo suo soggiorno
nella fortezza la nomina dei ministri di Stato e dei capi
di corte: le direttive al nuovo assetto politico del Regno venivano
tracciate a Baia.
Due anni più tardi, il re riceveva l'imperatore d'Austria
Francesco II accompagnato dalla consorte e da un numeroso e
qualificato seguito, tra cui vi era il famoso principe di
Metternich. Il re offrì in quell'occasione un lauto pranzo nella
sua residenza del Fusaro dopo aver fatto visita agli scavi di
Cuma e dopo aver fatto ammirare dalla fortezza di Baia le bellezze
del paese, delle quali più di tutti rimase ammirato il
Metternich.
Il fatto è testimoniato da una lettera che il principe mandò
alla famiglia, nella quale esprimeva tutto il suo stupore davanti
alle bellezze flegree. Ciò avveniva il 15 maggio del 1819.
Il Forte fu teatro nel 1860 di un assedio memorabile che il
De Sivo ricordò nella sua "Storia delle Due Sicilie".
Il Castello di Baia: le strutture interne
C'è da aggiungere che il Forte era provvisto di telegrafo, prigioni
e una magnifica Chiesa. Il servizio telegrafico fu inaugurato
nei primi decenni del secolo XIX.
Infatti il 23 ottobre
1821 il Direttore della Segreteria di Guerra - Ramo Marina -
prospettò al Governatore Militare della Piazza di Napoli la
necessità di installare nel Castello di Baia e nell'isola di Nisida
un impianto telegrafico per trasmettere con maggiore celerità
eventuali comunicazioni alle fregate "Amalia" e "Sirena" che
stanziavano nel porto di Baia e ricevere in Napoli i loro rapporti.
Accolta la richiesta, l'Ispettore dei Telegrafi fece collocare
la "macchina telegrafica" presso la Chiesa del Castello
con l'approvazione del Direttore della Reale Marina.
Successivamente il Direttore Generale della Guerra Tenente
Generale Fardella il 6 dicembre ordinò il trasferimento del
telegrafo nel sito denominato il Rivellino della Porta.
Le prigioni
erano in tre zone diverse: in prossimità dei Corpo di
Guardia, all'ingresso del Castello e nei locali sottostanti alla
"Prima Batteria S. Antonio". Uno dei primi reclusi nel Castello
di Baia, di cui si ha notizia, fu Michele Cervellone, implicato
nella congiura addebitata al frate domenicano Tommaso
Pignatelli seguace del Campanella. Il Pignatelli era stato accusato
di tramare per consegnare Pozzuoli ai Turchi e, secondo
altri, di voler introdurre la peste a Napoli per causare la morte
del Viceré e di altri personaggi, in modo da suscitare una sommossa
che avrebbe agevolato la conquista di Napoli da parte
dei Francesi.
Sempre nel 600 furono racchiusi nelle carceri del Castello
molti ladroni, che in quel tempo infestavano le campagne flegree
e contro i quali era stata iniziata una strenua lotta prima
dal Viceré Conte di Pagnarante e poi dal suo successore, il
Cardinale Pasquale d'Aragona. Il Parrino afferma che essi
erano atterriti "dalla inclemenza dell'aere e dalla oscurità delle
segrete".
Per quanto riguarda la Chiesa del Castello, essa fu edificata
su uno dei punti più alti del Castello, quasi come se gli
Spagnoli, nel solco della loro tradizionale sentimento religioso,
avessero in tal modo voluto simboleggiare la preminenza della
religione su ogni attività sociale ed umana.
Il Castello di Baia dopo l'Unità d'Italia
Dobbiamo dire che dopo il 1860, con il nuovo assetto politico-geografico, il Forte fu spogliato della maggior parte delle
artiglierie, eccezion fatta per tre cannoni e due mortai di piccolo
calibro, le cui funzioni furono ridotte ai colpi di salve in
occasione di qualche ricorrenza importante.
Con regio decreto del 1887, il Castello cessava di essere
considerato opera di fortificazione dello Stato, di conseguenza
le proprietà adiacenti vennero liberate dalle servitù militari
derivanti dalla sua qualità di fortezza.
Con la prima guerra mondiale il Castello fu strappato dal suo
oblio e adibito a carcere per i prigionieri di guerra. A guerra
finita, i prigionieri austriaci furono tutti rilasciati, ed il Castello
passava al demanio dello Stato.
Passeranno sei anni prima che, nel marzo del 1927, venga
insediato l'Ente Orfanotrofio Militare, avente il preciso compito
di ospitare gli orfani dei combattenti caduti in guerra.
Con questa denominazione il Castello è rimasto fino in epoca
recente, quando, in seguito al ritrovamento di statue di epoca
romana nel mare circostante, statue rivelatesi poi facenti
parte del Ninfeo del Palatium imperiale di Baia, esso veniva
destinato a Museo Archeologico, destinazione che conserva
tuttora.
Il Castello di Baia salvato dai Tedeschi grazie al vino del custode
Giova ricordare un episodio che ha salvato la "vita" al
Castello di Baia e che la stragrande maggioranza di abitanti del
luogo non conosce.
Siamo nel settembre del 1943 quando il Comando tedesco
ordina all'Orfanatrofio Militare del Castello di sgombrare la
fortezza e di trasferire i bambini alla scuola Quarati presso il
Vomero. I piccoli vengono così allontanati e il giorno stesso
in cui salta in aria il Silurificio di Baia, minato dalle truppe
tedesche, ecco presentarsi davanti alla fortezza un camion di
guastatori tedeschi muniti di candelotti di dinamite. Il camion
si ferma davanti all'ingresso principale dove sta, in quel
momento, seduto il custode, Francesco Lillini, chiamato dai
villici don Ciccio Pagliuccone, il quale sta mangiando delle
noci accompagnando di tanto in tanto con un sorso di vino i
bocconi che non riesce a mandar giù. Scende dal mezzo un
sottoufficiale che si dirige deciso verso don Ciccio che, subito
avendo capito le intenzioni dei tedeschi, i quali erano venuti
per distruggere il Castello, cerca di ingraziarseli offrendo loro
tutto quello che ha in quel momento a portata di mano cioè
vino e noci e racconta che il Castello era il nido per poveri
orfani di militari, molti dei quali avevano conosciuto la stessa
fine dei padri durante il conflitto in corso. Vededo il tentennamento
dei tedeschi, il custode continua ad insistere finché il
comandante, dopo un momento di esitazione, ordina di risalire
sul camion e don Ciccio col cuore gonfio di gioia e ancora
incredulo per l'accaduto prende venti litri di vino dolce e li
regala a quegli uomini
Così il Castello fu salvo con... venti litri di vino.