Nella valle del Liri (sempre appartenuta al regno del Sud, nelle sue varie denominazioni,
e, fino al 1927, alla provincia di Terra di Lavoro, Caserta) l'industria della lana ha origini remote.
Sappiamo che il
padre di Cicerone era un produttore di panni di lana in conseguenza
di un "incidente" occorso al famoso oratore, il
quale, raggiunte le più alte cariche della Repubblica romana,
vantava discendenza da un antico re volsco. "Ma quale re
volsco - gli spiattellò in faccia in pieno Foro un suo avversario
politico - se tuo padre faceva il fullone!?". Con quest'ultimo
termine si indicavano i produttori di panni di lana. Ma
che nella Arpino di Cicerone fosse fiorente tale industria, si
rileva anche dal fatto che, in occasione di alcuni lavori di restauro,
sotto il pavimento della chiesa dedicata alla Madonna
Assunta, posta nel quartiere di Civita Falconara, è venuta
alla luce un'iscrizione latina in cui si fa espresso riferimento
a MERCURIO LANARIO, il quale, con ogni probabilità,
era il "protettore" della corporazione dei produttori di panni
di lana arpinati.
Alla base di tale industria vi era un motivo pratico. Il territorio
di Arpino è bagnato, nella sua parte bassa, dal fiume
Fibreno, che è emissario del lago detto della Posta ed è un
affluente di sinistra del Liri. Le sue acque presentano una caratteristica:
hanno una temperatura piuttosto bassa. Conseguentemente
non favoriscono la nascita e la crescita dei microrganismi
animali e vegetali. Sono, quindi, particolarmente
"pulite" e perciò adatte alla "follatura", termine con cui si
indica la procedura grazie alla quale i panni di lana diventano
"sodi", cioè compatti, mentre "fulloni" venivano detti coloro
che la praticavano. Quando si incrociano i fili di lana,
infatti, non si ha un tessuto chiuso, ma una trama che lascia
passare l'aria. Per "compattare" tale orditura la si immergeva
nell'acqua e, poi, la si pressava ("follava") continuamente
con dei colpi di maglio, anch'esso azionato dall'acqua.
Ancora oggi a Carnello, che è una località posta sul Fibreno
nel punto in cui questo fiume segna il confine fra Arpino e
Sora, è possibile vedere i resti di una torre fullonica in cui
aveva luogo questo tipo di lavorazione. Va aggiunto che il
Fibreno si muove su un piano inclinato: ciò conferisce una
certa pressione alle sue acque, ancor più accentuata nella zona
di Carnello, dove sono delle piccole cascate.
L'industria della lana arpinate conobbe un'accelerazione a
partire dagli inizi del Settecento. Ciò probabilmente avvenne
anche in conseguenza di un'iniziativa presa dal feudatario
Antonio Boncompagni Ludovisi, duca di Sora e di Arce nonché
Signore di Arpino e Aquino, il quale tra il 1710 e il 1711
concesse in prestito la complessiva somma di seimilaseicento
ducati, al 6% annuo, a vari mercanti di lana di Arpino. Tale
industria godè anche della protezione della dinastia borbonica
allorché la stessa si insediò sul trono di Napoli.
Probabilmente
non è un caso che ad Arpino soggiornarono, anche
per periodi piuttosto lunghi, il re Carlo nonché i due Ferdinando
e probabilmente non è neanche un caso che gli stessi
venissero ospitati nelle case di fabbricanti di panni di lana, all'ingresso
di una delle quali ancora oggi fa bella mostra di sé
una statua del re Carlo. Ciò ci è ricordato da varie iscrizioni
presenti nella città, una delle quali, posta sulla facciata dell'edificio
al civico 20 della via Capitano Federico Ciccodicola,
fa espresso riferimento alla presenza del re Carlo nel 1744
presso un "nobile lanificio, regio per sua munificenza".
Anche per mettere in comunicazione gli opifici della valle
del Liri con il porto di Napoli, sul finire del Settecento il
re Ferdinando IV stabilì che fosse costruita la prima strada
rotabile dell'odierno Lazio meridionale, che collegava la capitale
del Regno, passando per San Germano (oggi Cassino)
e Arce, con il triangolo industriale di Terra di Lavoro, costituito
da Arpino, Sora e Isola. Tale strada si identifica con la
via Casilina da Capua fino al cimitero di Arce; da qui fino a
Sora, ad eccezione di una breve variante, con la Valle del Liri.
La sua costruzione ebbe conseguenze non solo economico-
commerciali ma anche politiche. Insieme con la sua realizzazione,
infatti, nel 1796, il Re stabilì di abolire la Feudalità
negli stati di Sora, Arpino, Arce e Aquino, tutti, come già
visto, fino ad allora amministrati dal duca Boncompagni Ludovisi:
si prevedeva, come in effetti poi accadde, che la strada
avrebbe fatto crescere l'economia della valle del Liri; si
volle, quindi, liberare tale crescita dai "lacci e lacciuoli" che
il feudatario avrebbe potuto imporle.
Nella città di Cicerone la lana veniva filata e, quindi, tessuta
con telai azionati a mano. Ultimata tale operazione i
panni venivano portati a Carnello per la follatura che veniva
effettuata presso le gualchiere poste sul Fibreno e, quindi, riportati
ad Arpino per la rifinitura.
A partire dagl'inizi dell'Ottocento,
furono utilizzati dei moderni telai azionati dalla corrente
dell'acqua: ciò determinò lo spostamento a valle di numerosi
precedenti opifici e la nascita di nuove fabbriche che
vennero posizionate sia lungo il Fibreno che lungo il Liri.
Anche quest'ultimo fiume, nel suo medio corso, si muove su un piano inclinato, in quanto nel tratto da Sora a Coprano supera
un dislivello di circa centocinquanta metri, per superare
i quali talvolta forma delle cascate, che, com'è agevole intendere,
costituivano delle notevoli fonti di energia. Una di esse,
posta nel centro di Isola del Liri, ancora oggi viene indicata
come "del valcatoio", in quanto con il termine "valchiera"
o "gualchiera" veniva anche indicato il luogo in cui avveniva
la "follatura" dei panni.
Come ha evidenziato Aldo Di
Biasio nel suo La Questione Meridionale in Terra di Lavoro,
nel periodo precedente l'unificazione, nella valle del Liri-Fibreno
vi erano ben quindici lanifici con le dimensioni di
grande industria, tra i quali spiccavano quelli di Polsinelli,
Zino, Ciccodicola e Manna. A tali quindici opifici se ne aggiungevano
ancora tanti altri "senza acqua e senza motori":
di questi ultimi solo ad Arpino se ne contavano ben trentadue.
In questa città gli operai impegnati nella produzione di
panni di lana erano settemila.
Nel quinquennio 1840-45, nel
distretto di Sora si produssero panni di lana per complessive
320.000 canne (la canna era pari a m. 2 e cm. 11), alti dieci
palmi (il palmo era pari a cm. 26,4): di questi 200.000 a Arpino,
30.000 a Sora, 40.000 a Isola e 50.000 a S. Elia (in quest'ultimo
centro, posto nelle vicinanze di Cassino, si sfruttavano
le acque del fiume Rapido).
Nello stesso periodo la produzione
di panni di lana dava complessivamente lavoro dagli
11.500 ai 12.000 operai. Il lanificio Zino forniva anche i panni
"color rubbio" all'esercito borbonico.
Un dato balza agli
occhi dalla pianta della provincia di Terra di Lavoro eseguita
dal Marzolla nel 1850: Arpino contava 12.699 abitanti, Caserta,
che della detta provincia era il capoluogo, 10.845. Vi è
da aggiungere che a Isola del Liri, nel lanificio dei fratelli arpinati
Giuseppe e Angelo Polsinelli, il 28 maggio 1852 ebbe
luogo un episodio di luddismo (NDR,"movimento operaio") che, come ha evidenziato lo "scopritore", Silvio de Majo, costituisce il primo fatto di tal
genere documentato in Italia.
L'industria della lana nella valle del Liri si avviò, purtroppo, ad un inarrestabile declino subito dopo
l'unificazione nazionale.
Cambiò drasticamente e, in particolare, in tempi rapidissimi senza alcun lavoro di preparazione, il sistema dei dazi doganali interni al nuovo Stato Unitario.
Si riporta l'intervento alla Camera tenuto dal deputato
Giuseppe Polsinelli di Arpino,
in un memorabile discorso tenuto alla Camera il 25 maggio
1861, con il quale, "fra la generale incomprensione e ostilità
", espose la situazione in cui erano venute a trovarsi le industrie
tessili napoletane: "Sa il signor presidente del Consiglio
- urlò in faccia al Cavour - i dolori e le perdite che hanno
subite gl'industriali delle province meridionali? Sa il signor
presidente del Consiglio quante centinaia di migliaia di
persone sono a languire dalla fame per quelle modificazioni?"
Il Cavour, serafico, gli rispose che, a quel che lui sapeva,
da quando era stata introdotta la nuova tariffa doganale, i
traffici al porto di Genova erano aumentati. La stessa cosa,
però, aggiungiamo noi, non era accaduta nei porti di Napoli
e di Palermo.
Una dopo l'altra chiusero tutte le fabbriche che
producevano panni di lana nella valle del Liri. L'ultima, che
dava lavoro a 190 operai, nel 1882.
Finì così una tradizione
industriale che, come abbiamo visto, affondava le sue radici
nel periodo della Repubblica romana. Appena cinque anni
dopo, nel 1887, per proteggere le industrie, che, nel frattempo,
si erano concentrate al Nord, quelle della lana in primo
luogo nella piemontese Biella, furono reintrodotti i dazi.
Questa nuova tariffa doganale determinò la crisi della viticoltura
e della olivicoltura, produzioni, queste, preponderanti
nell'Italia meridionale.
Come ha evidenziato Denis Mack
Smith, cominciò allora la corrente migratoria dal sud Italia
verso l'America, "che divenne ben presto una vera e propria
inondazione" .