Quicampania riporta in questa pagina ampi stralci di un interessantssimo articolo pubblicato dalla Rivista "L'Alfiere", a firma di Arturo Faraone, avente per oggetto la Marina Mercantile del Regno delle Due Sicilie.
Vi sono diversi punti trattati nell'articolo che mettono in risalto alcuni aspetti poco noti della storia e dell'economia del Regno delle Due Sicilie.
Nella prima parte dell'articolo il Faraone ricorda alcuni "record" della Marina Borbonica: il primo vapore, la prima Compagnia di Navigazione a vapore del Mediterraneo, la prima crociera turistica.
A questo punto si potrebbe obiettare che, come anche in altri campi, il governo del Regno delle Due Sicilie si distinse nell'arrivare per primo a proporre innovazioni all'avanguardia, per poi non far seguire a tali "record" nulla di organizzativamente ed economicamente valido.
In questo articolo si dimostra che, nel caso della Marina Mercantile, il governo borbonico fece seguire ai tanti "record" un'organizzazione complessiva della marineria tale da portarla ad essere all'avanguardia in Europa: leggeremo quindi del livello eccezionalmente elevato del nostro sistema portuale e logistico, della nostra cantieristica navale, delle decine di migliaia di occupati nel settore, del tonnellaggio complessivo della nostra flotta, talmente elevato da renderla terza in Europa.
Ecco l'articolo di Arturo Faraone.
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In effetti, la Marina Mercantile delle Due Sicilie vantava una tradizione secolare che, per traffici, attività cantieristiche e qualità della flotta, al momento del trapasso unitario, aveva pochi eguali nel vecchio continente.
Non solo, ma è napoletano il piroscafo "Ferdinando I", consegnato alla storia come il primo bastimento con propulsore a vapore per la navigazione marittima, che fu varato il 24 giugno 1818 e salpò per il suo viaggio inaugurale il 27 settembre dello stesso anno. Fu a Napoli che iniziò così la navigazione a vapore d'altura, allorché questo sistema pionieristico di solcare i mari non era stato neppure messo in pratica in Francia ed in altri Paesi europei ad eccezione dell'Inghilterra ove era stato adottato per la navigazione fluviale.
Fu parimenti napoletana la prima Compagnia di navigazione a vapore del Mediterraneo, che assunse il nome di "Amministrazione Privilegiata dei pacchetti a vapore delle Due Sicilie", con un servizio regolare di linea, fornendo anche il primo esempio di convenzione marittima in Italia, poiché assunse dal Governo di S.M. Siciliana la concessione in privativa del trasporto della corrispondenza postale.
Fu napoletana anche la prima crociera turistica della storia preparata nel 1833 con il piroscafo "Francesco I" ed antesignana di oltre mezzo secolo rispetto ad analoghe iniziative intraprese in seguito da altri Paesi industrializzati; una crociera cui parteciparono i più bei nomi dell'aristocrazia europea e che, in poco più di tre mesi, toccò alcuni tra i più suggestivi porti del Mediterraneo fino ad Istanbul, sbalordendo il mondo civile per accuratezza ed efficienza organizzativa.
Fu altresì napoletano il primo tentativo di codificare il diritto marittimo, dapprima con Carlo III di Borbone, che preannunciò un codice nella Prammatica "De nautis et portibus", e successivamente con Ferdinando IV, che dette incarico al giurista Michele De Jorio di redigere un codice della navigazione di respiro internazionale, destinato a divenire una pietra angolare della legislazione regolante il commercio marittimo e tutti i rapporti privatistici e pubblicistici ad esso inerenti. L'opera fu realizzata nel 1781 con il titolo provvisorio di "Codice Ferdinando", ma purtroppo rimase inattuata poiché travolta dai gravi sconvolgimenti politici di fine secolo. Ciò nonostante l'opera resta un cardine della scienza giuridica in materia.
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Del resto, la citazione di alcuni primati della Marina Mercantile delle Due Sicilie, lungi dall'essere un esercizio di narcisismo storico fine a se stesso, può giovare a dimostrare quanto il governo borbonico avesse in peculiare considerazione la prosperità delle attività marittime, come nutrici e sostegno di ogni ramo dell'industria, e quanto fosse crescente e continuo l'impulso che i sovrani napoletani dettero alla marineria meridionale ed alle sue nobili tradizioni. Ferdinando I incoraggiò la formazione di una vera e propria classe armatoriale, stabilendo premi e sovvenzioni da attribuire agli armatori per ogni tonnellata di naviglio costruito e dette impulso ai traffici commerciali non solo di cabotaggio, riducendo tasse di tonnellaggio ed accordando esenzioni di dazio, ma anche oltreoceanici, incoraggiando la costruzione di bastimenti con dislocamento superiore alle duecento tonnellate grazie a sostanziosi finanziamenti statali. I risultati di questa politica economica portarono all'investimento dei capitali dei cosiddetti "padroni" in armamento mercantile, nonché a forme di libero associazionismo: nel 1824 furono costruite, per esempio, ben 290 navi nuove. Con le accresciute dimensioni delle navi, aumentarono anche il raggio d'azione e l'intraprendenza degli equipaggi, che dettero vita a proficui e sistematici collegamenti con le Americhe e con il Nord Europa, grazie anche alla sovrana determinazione di accordare una riduzione del 20% del dazio sulle merci importate nel Regno dalle Americhe e dal Baltico.
Nel 1839 le Due Sicilie vantavano una flotta mercantile di 9.174 navi con 122.677 marinai impiegati, terza Marina europea per tonnellaggio complessivo (243.192 tonnellate), primato che avrebbe conservato fino all'unità.
Non meno saggia e proficua fu la politica di potenziamento tecnico dei porti condotta dai Borboni. Come esempio di previdenza e lungimiranza ricordiamo l'Ordinanza generale del 1° ottobre 1818 con la quale fra i doveri dei Capitani di Porto, si ritiene meritevole quello di curare la migliore conservazione dei rispettivi porti e di rimettere al Sopraintendente Generale "un prospetto dello stato dei porti e delle macchine che vi esistono per i lavori ordinari come pure delle riattivazioni necessarie, onde provocarsi dallo stesso le nostre sovrane determinazioni". E' da mettere qui in rilievo l'interesse per la manutenzione ed il funzionamento degli arredi e dei macchinari portuali, tenendo conto che anche nei porti nei quali verso la fine dell'800, in epoche ampiamente successive all'unità, si cominciarono ad introdurre apparecchi meccanici di sollevamento, quindi idraulici e poi elettrici, se ne vincolò l'impiego con rigorose limitazioni di tariffa, di orario e di tassi di discarica e persino con la corresponsione di diritti proporzionali alle maestranze portuali. La diversa strategia di politica portuale balza con evidenza agli occhi: l'ordinanza ferdinandea contiene in embrione una prodigiosa anticipazione della concezione moderna di competitività portuale, ispirata a filosofie privatistiche in cui l'interesse statale alla conservazione dell'efficienza delle "macchine" dell'azienda-porto , coincide con l'interesse privato della liberistica fruizione della struttura pubblica gratuita e deve il funzionario dello Stato assume veste "manageriale" di responsabile dell'efficienza e della produttività. Altrettanto stupefacente, stavolta per miopia ed insipienza, appare la politica portuale del nuovo Stato unitario, laddove, al contrario, il macchinario portuale è considerato soprattutto in chiave di strumento fiscale, come espediente per ulteriori balzelli e dove il funzionario dello Stato assume il ruolo di burocrate e di esattore, facendo collassare l'iniziativa imprenditoriale ed aprendo comode strade alla concorrenza dei porti esteri. I porti delle Due Sicilie erano distinti in quattro classi e divisi in circondari marittimi. Gli unici porti di prima classe erano Napoli, Messina e Palermo: porti di seconda classe erano Castellammare, Gaeta, Pozzuoli, Siracusa, Augusta e Trapani; porti di terza classe erano Precida, Ponza, Salerno, Crotone, Taranto, Gallipoli, Brindisi, Barletta, Manfredonia, Girgenti; porti di quarta classe erano Maratea, Pizzo, Reggio Calabria, Ótranto, Bari, Tremiti, Pescara, Milazzo, Catania, Cefalù, Marsala, Lipari e Pantelleria. …………
Gaeta vantava una tradizione di eccellenti marinai e di ottimi costruttori di imbarcazioni mercantili e da pesca. Invero la marineria meridionale era una delle poche nel Mediterraneo che poteva vantare un vasto assortimento di imbarcazioni minori costruite ed impiegate in tutto lo Stato. Tali mezzi erano di vitale importanza nell'economia del Regno, in quanto la loro costruzione ed il loro impiego producevano lavoro e ricchezza, anche indotti, se si pensa a tutte le attività complementari legate alla produzione di accessori e di utensili indispensabili per la navigazione ed il commercio. II borgo di Gaeta era uno dei più importanti poli di attività della cantieristica minore del medio e basso Tirreno. Le costruzioni navali avvenivano sugli arenili del borgo e nulla era fisso. Scalo ed avanscalo erano "volanti" e quello spazio che d'estate era occupato da una struttura pullulante di attività, d'inverno ridiventava spiaggia libera. Del resto solo a Napoli, Palermo, Messina e Casitellammare, dove dal 1852 esisteva il primo bacino di carenaggio in Italia, vi erano apprestamenti industriali stabili di proprietà statale adibiti permanentemente alla cantieristica navale. A Gaeta, come in altre località costiere dedite alla cantieristica minore, i maestri d'ascia e i carpentieri, con attrezzi realizzati artigianalmente, realizzavano sull'arenile le barche o i bastimenti di piccolo e medio tonnellaggio che erano stati loro commissionati.
Gaeta vantava, inoltre, una delle quattordici scuole nautiche che il Regno possedeva all'atto del trapasso unitario. Ben consapevole della "necessità della istruzione delle popolazioni marittime", come si legge in un Decreto Reale 28 ottobre 1831 che riformava il sistema amministrativo e disciplinare di alcune scuole nautiche, il governo napoletano fu particolarmente sensibile nel promuovere una costante crescita qualitativa degli Istituti Nautici. Tra questi, giustamente famosa oltre i confini nazionali, era la prima scuola in Italia di allievi macchinisti istituita a Pietrarsa accanto al celebre opificio, colosso dell'industria metalmeccanica, che vantava il maggior impiego di manodopera in Italia, quasi mille operai altamente specializzati, il doppio numerico rispetto all'Ansaldo di Sampierdarena. Nel momento in cui Francesco II da sovrano del Regno delle Due Sicilie fu costretto a diventare il "Montezuma di Gaeta", mutuando una immaginifica descrizione di A. Ghirelli, la marina mercantile napoletana era ancora in espansione: con una flotta di oltre diecimila legni, aveva continuato ad aumentare la sua consistenza, mentre i noli marittimi coprivano largamente il disavanzo commerciale tra esportazioni ed importazioni. Questa continua espansione economica è confermata da una significativa statistica contenuta in una relazione del 1865, in cui viene riportata la crescita del movimento "import-export" relativo al commercio marittimo delle Due Sicilie. Si passa dai 27 milioni di ducati del quadriennio 1840-44, ai 29 milioni del quadriennio successivo, ai 31 milioni del 1850-54, sino ai 34 milioni e 355 mila ducati del quadriennio 1855-59. Cifre che vanno ancor più rivalutate nella considerazione del ribasso dei prezzi di mercato dal 1840 al '59, con un unità monetaria che non conosceva tassi inflattivi. Ma, come tante attività meridionali, anche la Marina fu sacrificata all'unità.