Proponiamo un ampio stralcio di un articolo di Gaetano Fiorentino, pubblicato sulla rivista l'Alfiere, dedicato alla grande industria napoletana Zino & Henry. Gaetano Fiorentino è un attento studioso dell'economia del Regno delle due Sicilie e nei suoi articoli è possibile reperire informazioni preziosissime per la comprensione della effettiva realtà economica - produttiva del Meridione pre-unitario. Come si potrà leggere alla conclusione dell'articolo, la grande industria Zino & Henry chiuse perchè vennero meno le commesse pubbliche dopo l'Unità d'Italia, commesse che furono girate, guarda caso, a imprese del Nord. Questa situazione è di una attualità impressionante: quante piccole e medie imprese del Sud hanno chiuso i battenti perchè le Aziende meridionali loro commissionarie, una volta acquisite/inglobate da imprese del nord, hanno "spostato" le proprie forniture a vantaggio di imprese settentrionali?
La così detta rivoluzione industriale si sviluppò già intorno
agli anni che vanno tra il 1825 ed il 1835, anche nel
Regno delle Due Sicilie dove si cominciò a guardare a ciò
che la tecnologia estera offriva nei vari campi. I più previdenti
cominciarono ad acquistare i macchinari loro necessari
oltr'Alpi. Ciò comportava però una serie di non lievi
inconvenienti. Prima di tutto la necessità di assumere, per
l'addestramento del personale locale all'uso, tecnici francesi
o inglesi con stipendi molto alti. Le frequenti rotture di
parti o pezzi delle complesse apparecchiature, poi, costringevano
ad ordinare le sostituzioni ai fabbricanti stranieri
con lunghi tempi di attesa e fermo di produzione.
Di questi danni si era ben reso conto, per averli sperimentati
di persona, Lorenzo Zino titolare di un'importante
fabbrica di panni di Carnello sul fiume Fibreno, presso Sora, ai
confini settentrionali del regno nella provincia di Terra di
Lavoro. Egli decise dì creare uno stabilimento che producesse
i macchinari che si acquistavano all'estero, fabbricando
tutte quelle apparecchiature adatte a soddisfare le nuove
e sempre frequenti richieste degli industriali e commercianti
meridionali, non che provvedere, per quelli stranieri, alle
riparazioni e sostituzione delle parti deteriorate.
Egli costituì una società con il professore francese di
meccanica Francois Henry, venuto a Napoli da Parigi. La
prima sede della fonderia e stabilimento meccanico della
Zino & Henry fu impiantata nelle grotte di Capodimonte
intorno al 1836. L'industria fu aiutata e incoraggiata da
Ferdinando II nella sua politica di autonomia tecnologica e
produttiva dall'estero.
Fin dall'inizio della sua attività la Zino & Henry ottenne
un insperato successo, andando oltre le più rosee aspettative.
Basti questo semplice esempio, la navigazione a vapore
che andava sempre più diffondendosi, vedeva il porto di
Napoli toccato da sempre più bastimenti, spesso con problemi
e rotture alle caldaie. In questi casi le navi erano bloccate
a Napoli in attesa delle riparazioni e dei rimpiazzi provenienti
dall'estero se i danni erano gravi, oppure dovevano
recarsi a Marsiglia nei casi in cui i macchinisti di bordo riuscivano
ad ovviare provvisoriamente all'inconveniente. La
possibilità di risolvere le avarie in loco, era un vantaggio
non indifferente per tutti i battelli che toccavano i porti del
reame o dogli stati confinanti, oltre che per i legni della
marina napoletana.
Dopo meno di un anno lo stabilimento fu costretto ad
ampliarsi per le numerose commesse che pervenivano. Si
trasferì perciò nella zona del Ponte della Maddalena vicino
ai Granili, in un vasto terreno ove sorse !a nuova fabbrica.
Già nel 1839 la Zino & Henry era in grado di soddisfare
tutta una serie di ordinativi da ogni parte del paese e dall'estero.
Dal Pontificio, specialmente dalla Romagna, e
dalla Toscana le richieste di acquisto di macchinari erano
continue, tanto che la necessità di nuovi investimenti e di
un ulteriore ampliamento dello stabilimento spinse i due
soci ad accettare l'offerta di vari finanziatori che intervennero
con cospicui capitali nella compagine sociale.
Nacque così la società in accomandita per azioni Zino
Henry & C. con un capitale di 140.000 ducati e un nuovo
stabilimento più ampio e razionale accanto a quello già
esistente ai Granili e che si estendeva su tre moggi di
terra, con 200 operai addestrati da cinque o sei tecnici
francesi. Le maestranze erano assunte tra gli abitanti del
Borgo di S. Erasmo, poveri venditori di frutta e di erbaggi,
trasformati in abili, esperti, capaci operai. Henry si occupava
della parte tecnica con la progettazione e realizzazione
delle macchine, Zino della conduzione commerciale e
amministrativa dell'azienda, la cui sede commerciale,
negli anni successivi, fu posta al numero 60 della Strada
Egiziaca, a Pizzofalcone.
Non vi era problema o richiesta che questo stabilimento
non fosse in grado di risolvere, studiando le apparecchiature
più adatte a soddisfare le esigenze e le necessità della
numerosa e varia clientela. Già due volte Ferdinando II
aveva visitato la fabbrica nei primi anni di attività, complimentandosi
ed incoraggiando i due audaci industriali, premiati
con la gran medaglia d'oro di prima classe all'esposizione
delle arti del regno alla fine degli anni '30.
Nel 1839 l'opificio era strutturato in otto reparti: quello
dei disegnatori che progettavano le macchine da costruire;
la sezione modellatori che eseguivano le parti in legno o in
metallo, mentre nella fonderia si realizzavano i vari pezzi
dei macchinari dai modelli e dalle forme di legno o di ferro.
Vi era poi il reparto per i lavori in ferro battuto, dotato di
forge montate ad aria calda. I limatori, i tornitori e tornieri,
gli aggiustatori o montatori delle macchine completavano
l'opera. A parte vi era una sezione per la costruzione delle
macchine a vapore.
I reparti erano posti attorno ad uno spazio quadrilatero
con la fonderia al centro, alimentata da una macchina a
vapore per tenere attivo il fuoco dei fornelli; tre enormi gru
a braccia, poste su perni di ferro, consentivano di spostare
le masse di metallo in qualunque direzione. Il salone con i
tornitori era dotato di una macchina a vapore di sei cavalli
che consentiva il movimento a 14 torni, di una macchina
per la barenatura e di altre apparecchiature, e di un mulino
che polverizzava e pestava la terra necessaria alle fusioni in
un locale attiguo.
II reparto che più sorprendeva, per la complessità e il
numero dei pezzi che costituivano il macchinario, era
quello ove si costruivano le macchine a vapore, ciò consentiva
alle Due Sicilie di essere autonome dall'estero con una
produzione nazionale che soddisfaceva le necessità tanto
della marina mercantile e militare, quanto della società
francese di Armando Bayard de la Vingtrie che aveva ottenuto
la concessione per la ferrovia Napoli-Castellarnmare-
Nocera, vale a dire la prima strada ferrata della penisola italiana.
Nei primi tre o quattro anni della sua esistenza la Zino
Henry & C. aveva realizzato una serie di meccanismi e congegni
di cui, qui di seguito, vogliamo elencare alcuni tra i
tanti.
La ricca raccolta di olive in molte province del regno non
era pari alla qualità dell'olio che si estraeva poiché i sistemi
di triturazione dei prodotto erano lenti e antiquati, non vi
era perciò la possibilità per conservare il frutto per lungo
tempo in attesa di portarlo ai frantoi. Ma ecco che la fabbrica
napoletana offrì nuovi frantoi con il vantaggio di un
prezzo competitivo rispetto a quelli stranieri e la possibilità
di rapide riparazioni in caso di rotture.
Anche per l'estrazione dello zucchero dalle barbabietole i
macchinari furono forniti dallo stabilimento napoletano,
come pressori idraulici con motori della potenza di 20
cavalli, raspe, pompe e altri meccanismi necessari ad
aumentare e migliorare la produzione.
L'esportazione della canapa, della rubbia, del fieno e altri
prodotti aumentò con considerevole risparmio di costi, grazie
ai pressori idraulici inventati da Francois Henry che
consentivano di ammassare e stringere insieme le balle e
diminuire il volume con notevole risparmio di spazio, diminuzione
delle spese di spedizione e conseguente aumento di
profitto per le ditte esportatici napoletane.
Un grande motore in ferro con una grande ruota idraulica
e i corrispondenti ingranaggi fu eseguito per la
Fabbrica Reale delle Armi di Poggioreale, alla periferia
di Napoli.
La costruzione di sei macchine a vapore tra gli 8 e i 36
cavalli di potenza per usi diversi furono forniti su richiesta
di industrie con sede in varie località del regno; un'altra
macchina a vapore di 6 cavalli per la Beau & C., fabbrica di
seta da cucire, ed altre due, la prima per macinare i terreni
necessari alla formazione dei cristalli nella fabbrica dì
Posillipo, la seconda per attingere acqua nell'ospedale degli
Incurabili , uscirono dall'opificio del Ponte della
Maddalena.
Altri macchinari furono costruiti ed inviati in Puglia, a
Bari e Vieste, per la macinazione di granaglie, una di 8
cavalli ad una filanda di cotone di Trapani, un'altra appositamente
realizzata per la fonderia di Germanico Petrelli al
Ponte della Maddalena per muovere i mantici della fucina e
mettere in moto i magli che battono il ferro.
Prodotti di vario genere e principalmente enormi argani,
su modelli francesi, furono consegnati ai Reali Arsenali per
vari usi e per tirare a secco le fregate della marina militare
per le periodiche manutenzioni, mentre era offerta assistenza
a tutte le industrie per le riparazioni di qualsiasi apparecchiatura,
principalmente per le macchine a vapore, anche
non di sua produzione.
Egualmente numerosi i lavori di ornati in ferro di qualsiasi
forma e dimensione, come fiori, foglie, cerchi lavorati,
ringhiere, balaustre, colonnette, vasi, statue. Tra le opere
maggiori eseguite, la splendida ringhiera dello scalone
maggiore del Palazzo Reale di Capodimonte.
La stessa società concessionaria della strada ferrata
Napoli-Castellammare-Nocera si era rifornita di tutto il
materiale in ferro della Zino &. Henry, così come i francesi
della ditta incaricata dell'illuminazione a gas idrogeno della
città di Napoli si erano rivolti alla fabbrica del Ponte della
Maddalena per dotarsi di tubi, fornelli, torte, macchine e
quart''altro fu e sarà necessario.
Dall'opificio uscivano ancora torchi per il conio di bottoni
e medaglie, macchine trebbiatrici per il grano all'uso inglese,
aratri di ultimo modello, medaglie fuse di perfezione
mirabile, armi e lame per le
forze armate borboniche.
Abbiamo voluto soffermarci sui primissimi anni di attività
della Zino & Henry, poiché in quegli anni non vi erano,
negli altri stati della penisola, opifici privati dell'importanza
e delle dimensioni della fonderia napoletana. Avere 200
operai nel 1839 equivaleva a 2.000-3.000 dipendenti dei
nostri giorni, o forse più. Negli anni successivi la ditta si
ingrandì ulteriormente con nuovi macchinari e più che triplicando
le forze lavorative. Il suo successo era dovuto alla
grande diversificazione e perfetta esecuzione della produzione,
alla puntualità delle consegne, all'alta capacità tecnica
delle maestranze.
Questa grande realtà creata dalla volontà di un italiano e
un francese ebbe il suo tramonto dopo il 1860: revoca degli ordinativi fatti dal governo borbonico,
morte lenta delle fabbriche private e statali meridionali per
sottrazione di commesse e lavori passati solo alle industrie
del nord che andavano sorgendo grazie agli aiuti del governo
di Torino, naturalmente a danno di quelle esistenti al
sud.
Ormai questa bella realtà napoletana era già in uno
stato avanzato di agonia. II taglio delle commesse statali
che arricchiva i concorrenti del nord, non consentiva un rinnovamento tecnologico, la diminuzione degli utili, strettamente
collegata a quella degli ordinativi che potevano venire
ormai solo dai privati delle province meridionali, torchiati
però da gravose imposte, così come l'inasprimento fiscale
con sempre nuovi balzelli, costrinse i proprietari a svendere
l'azienda: gli acquirenti, del nord, dopo aver sfruttato quel che ancora poteva dare
l'opificio, senza naturalmente effettuare alcun investimento,
se ne tornarono soddisfatti alle loro città.
Scompariva così,
dopo qualche anno appena dalla conquista piemontese,
un'azienda che era stata uno dei fiori all'occhiello del Regno.