di Ubaldo Aglieri
Viaggiare in bicicletta ti proietta in una dimensione nella quale l’ambiente circostante improvvisamente si trasfigura; si possono, con una passeggiata in bici, cogliere aspetti e piaceri che in un transito veloce e superficiale sfuggono per forza di cose. Poi, se il percorso si snoda lontano dal caos cittadino ed è immerso tra natura e storia, l'escursione in bicicletta diventa un'occasione unica per rivivere ogni volta delle emozioni sempre nuove.
Vi voglio parlare di una mia ricorrente ciclo-passeggiata nel meraviglioso scenario dei Campi Flegrei.
Il mio gruppo è abitualmente costituito da tre cicloamatori, me compreso, che puntualmente ogni fine settimana e in ogni stagione, si ritrova in Piazzale Tecchio alle ore 8,30.
Le bici sono delle mountain bike di buon livello tecnico con telai di alluminio o carbonio, equipaggiate con pneumatici da strada, quelli lisci per intenderci, per l’ottenimento di una minore resistenza al rotolamento e maggiore velocità a discapito, però, della tenuta di strada (per questo motivo evitiamo le uscite con la pioggia).
L’abbigliamento è essenziale ed è costituito da caschetto, guanti, maglia in tessuto tecnico traspirante e da pantaloncini da ciclista imbottiti a difesa delle nostre "intimità".
Partiamo, disposti in fila indiana, imboccando via Diocleziano, strada normalmente molto trafficata nelle ore centrali della giornata, che percorriamo fino a Bagnoli. La strada è liscia e rettilinea; sulla sinistra scorgiamo un'enorme "torre evaporativa", recentemente ristrutturata perchè definita monumento di archeologia industriale, testimonianza della lunga storia dell'Italsider, fabbrica che ha dato lavoro a migliaia di persone ma che, con le sue ininterrotte colate, ha anche avvelenato l’ambiente.
Arriviamo in un largo e svoltiamo a destra verso Pozzuoli, lasciando sulla nostra sinistra il bellissimo pontile nord di Bagnoli, da qualche anno ristrutturato. La struttura, ben gestita, può contare su un servizio continuo di vigilantes che tiene lontano venditori abusivi e parcheggiatori improvvisati; in questa maniera è stato possibile restituire alla cittadinanza 960 metri di panorama mozzafiato proiettato sul mare e percorso giornalmente da centinaia di mamme, bambini, innamorati e sportivi.
Proseguendo verso Pozzuoli, lasciamo alla nostra sinistra l’Istituto Nautico con annesso Museo del Mare, Museo che vi consiglio di visitare; da questo momento inizia la vista del mare e si intravede la prima spiaggia famosa di Bagnoli, quella del lido Fortuna, che da oltre un secolo offre ai numerosi frequentatori un arenile nero e sempre molto apprezzato (taluni dicono, però, che sia radioattivo).
Dopo poco arriviamo alla stazione La Pietra, storico Dazio situato al confine tra i comuni di Napoli e Pozzuoli, capolinea dei vecchi tram della linea 1 e 4; proseguendo, ci piace fissare il mare alla nostra sinistra: nei giorni limpidi di tramontana possiamo godere così di splendide visioni sul golfo di Pozzuoli, fino al faro di Miseno. Alla nostra destra il tufaceo monte Olibano, sovrastato dall’Accademia Aeronautica, rappresenta uno dei pochi esempi di attività effusiva nei Campi Flegrei.
Poco dopo, a circa cinque chilometri dalla partenza, ci troviamo all’altezza delle antiche terme di Pozzuoli: qui la strada si biforca e noi imbocchiamo quella sulla destra; sulla nostra sinistra, invece, si trova la nuova villa comunale di Pozzuoli recentemente ristrutturata, con campi di calcetto, basket e aiuole fiorite.
Sullo sfondo, a sinistra, si staglia il Rione Terra, antiche case di pescatori costruite su una rupe di tufo di colore giallo napoletano; il Rione è disabitato dal 1970, dopo l’evacuazione ordinata in conseguenza dei primi e più violenti episodi di bradisismo.
Attraversiamo l’Arco di Porta Napoli; qui esisteva il porto dell’antica Puteoli, orgoglio dell’ingegneria marittima romana.
Proseguiamo a destra per il centro di Pozzuoli, su un pavé non molto comodo; subito dopo la stazione della ferrovia Cumana, scorgiamo alla nostra sinistra il Serapeo, l’antico mercato romano costruito intorno al I° secolo a.c., sulle cui colonne sono ben visibili i segni dei fori, lasciati dai molluschi marini, che testimoniano come la zona, per effetto del bradisismo, abbia subito nel corso dei secoli uno sprofondamento ed un successivo innalzamento di circa 10 metri.
Si prosegue lungo la strada costiera che porta verso Arco Felice; sulla destra il nuovo mercato ittico, più avanti la lega navale e il porto turistico dei cantieri Maglietta; più avanti un enorme fungo di cemento ci indica gli stabilimenti ormai dismessi della Sofer ex Armstrong, famosa società americana che costruiva armi per tutti gli eserciti del mondo e che, per un lungo periodo, rappresentò l’unica fonte di reddito per circa 5.000 famiglie puteolane.
Iil traffico diventa meno caotico quando arriviamo nella piazza di Arco Felice, dove proseguiamo sulla sinistra in direzione del lago Lucrino; attraversato l’abitato, sulla nostra destra scorgiamo il Monte Nuovo, vulcano formatosi, secondo la leggenda, in una notte del 1538 sul luogo di un piccolo villaggio chiamato Tripergole, attualmente oasi del Parco Regionale dei Campi Flegrei; dalla sua sommità si gode di uno splendido panorama a 360 gradi.
Pochi metri prima del lago Lucrino, svoltiamo a destra in direzione del Lago di Averno; subito ci dimentichiamo del caos cittadino: sembra di vivere un sogno tra il profumo dei mandarini e l’aroma della macchia mediterranea: è qui che iniziamo veramente a percepire le emozioni dei Campi Fregrei.
In fondo al viale, svoltiamo verso la sponda sinistra del lago, l’unica carrozzabile, e tra lo stridio di folaghe, cigni e gabbiani passiamo davanti alla mitica grotta della Sibilla; poi, dopo essere passati davanti ad una famosa discoteca dal nome esotico, ‘Aramacao’, circondata da palme artificiali di gusto kitch, arriviamo alla fine della strada dove scorgiamo la famosa grotta del Cocceo, antica galleria sotteranea scavata nel tufo, ideata per il collegamento di Cuma con il lago d’Averno; purtroppo attualmente, per motivi di sicurezza, la galleria non è percorribile.
Torniamo indietro lasciando alla nostra sinistra la vista sul maestoso Tempio di Apollo.
Proseguiamo sulle sponde del lago Lucrino, un nome che deriva dal ricordo del profitto che traevano i romani dalla coltivazione delle ostriche nelle sue acque.
Nei pressi del lago si trovano le grotte, chiamate Stufe di Nerone, scavate nel tufo per sfruttare la temperatura delle fumarole vulcaniche.
Proseguiamo in salita verso Punta Epitaffio in direzione Baia; qui il fondo marino è pieno di rovine di ville e edifici di epoca romana.
Secondo la leggenda, la località trae il nome da Baios, che per salvare il suo compagno Ulisse, distrasse Polifemo offrendogli del vino a costo della propria vita.
A questo punto inizia una discesa che ci conduce al porto di Baia, importante approdo per la nautica da diporto; lasciato il porto, alla nostra sinistra scorgiamo l’imponente tempio romano dedicato a Venere.
Proseguiamo per via Lucullo, caratterizzata dalla presenza dei cantieri nautici della Fiart; da questo punto inizia una salita abbastanza impegnativa, per fortuna non molto lunga, che conduce al Castello di Baia. Il percorso è circondato da orti e agrumeti; più avanti, sulla nostra destra si aprono i fondi di Baia, ovvero due vulcani continui allineati quasi parallelamente al tratto di costa tra Baia e Miseno. I fondi, situati in un'ampia oasi naturale, sono mete frequenti di scolaresche e di buongustai per i vari agriturismi presenti.
Proseguendo incontriamo sulla nostra sinistra la rampa di accesso al Castello Aragonese di Baia, antica fortezza e carcere militare; oggi alcune sale sono adibite a museo dei beni archeologici rinvenuti in loco. Dalla torre del castello, che merita sicuramente una visita, si gode di una superba vista su tutto il golfo di Pozzuoli.
Iniziamo la discesa verso l’abitato di Bacoli: sullo sfondo ci accoglie il lago di Miseno, dove di recente è stata costruita una pista ciclabile - pedonale.
Svoltiamo a sinistra in direzione di Capo Miseno e, ancora a sinistra, troviamo la Piscina Mirabilis che, raccogliendo le acque dell’acquedotto romano del Serino, rappresentava il più grande serbatoio di acqua potabile dell'antichità, e che approvvigionava la flotta dell’impero romano di stanza a Miseno.
Attraversiamo vari lidi, alcuni militari, e arriviamo alla punta della Dragonara, dove affrontiamo una breve ma ripidissima salita che ci porta al faro. Dopo il ristorante Cala Moresca, la strada ci conduce in una lunga galleria, poco illuminata, scavata nella montagna, dove è necessario prestare la massima attenzione. Alla fine della galleria ci troviamo su un piazzale vicinissimo al faro, dove tra i profumi del lentisco si gode di una superba vista sull’arcipelago campano; qui, alle volte, ci tratteniamo una decina di minuti, per poi tornare indietro per la stessa galleria.
Al bivio consueta sosta allo chalet Miseno dove il simpatico barista Luciano con fare gentile e un pizzico di ironia ci accoglie sempre con la stessa frase ‘‘benvenuti campioni ...vi porto il solito?’’; lo chalet è un punto di ritrovo di ciclisti, ci si incontra quasi sempre tra le stesse persone: un professore di informatica, super sportivo, sempre abbronzato, acerrimo nemico di Berlusconi; il mio amico Giovanni, che al contrario, è un fan del premier; un padovano soprannominato Fox e un ex-nuotatore di fondo che ha concluso una Capri-Napoli, e così via. Si passa un po' di tempo a prenderci in giro e si riparte!
Rimontiamo sulle bici e, subito dopo l’arsenale della Guardia di Finanza, svoltiamo a sinistra in direzione Torregaveta, attraversando le spiagge di Miliscola, il cui nome ci ricorda che qui sorgeva una scuola militare romana.
A questo punto, tenendo conto dell'orario e soprattutto delle nostre condizioni fisiche, scegliamo tra il salire per Monte di Procida o, in alternativa, per il proseguire per il Viale Olimpico di Bacoli.
In entrambi i casi arriviamo al molo di Torregaveta, un posto dal quale si gode di uno splendido panorama della costa sino a Mondragone.
Attraversiamo il lido Fusaro e prendiamo per Cuma, passando davanti ai resti archeologici dell’antica Acropoli; dopo circa due chilometri ci aspetta la salita, non molto impegnativa, ma comunque lunga, della Palombara; tra vitigni di piedirosso e culture orticole, arriviamo alla Schiana, la sommità del Lago di Averno, per poi scendera verso l’abitato di Arco Felice; qui siamo costretti a prestare maggiore attenzione, in quanto il traffico diventa, per l'orario, sempre più inteso e pericoloso. Dopo aver attraversato il porto di Pozzuoli, imbocchiamo via Napoli per concludere la nostra avventura.
La fatica si fa sentire, abbiamo percorso una cinquantina di chilometri in tre ore di sano divertimento; non ci resta che salutarci e darci appuntamento per un nuovo giro in questi meravigliosi Campi Flegrei.