Grottaminarda
Grottaminarda è una cittadina dell'alta Irpinia ricca di storia, monumenti e tradizioni. Oggi conta su una popolazione di quasi 9000 abitanti.
Il Professor Antonio Palomba è un autorevole personaggio di Grottaminarda. E' autore di saggi sulla storia della sua città. Per Quicampania ha scritto delle preziose note su alcuni monumenti di Grottaminarda; con molto piacere pubblichiamo quanto ricevuto.
L'indice degli argomenti sviluppati dal Prof.Palomba:
Grottaminarda: la Chiesa di Santa Maria Maggiore

Grottaminarda: panorama
La Chiesa di Santa Maria Maggiore è dedicata all'Assunta; ha un alto portale in pietra lavorata a volute e a conchiglie, che termina col frontone spezzato in modo da rendere visibile al centro la nicchia pure di pietra ma vuota. Questa chiesa fu realizzata tra il 1744 e il 1764 da Ciriaco Di Silva di Mercogliano, allievo del Vaccaro, 36 metri di lunghezza, 15 di larghezza e 14 di altezza, sullo stesso posto dove sorgeva la vecchia chiesa (più piccola) crollata col terremoto del 1732, L'interno di essa, tutto di un biancore assai luminoso, è ad una sola navata ed è a forma di
croce latina e fu decorato tra il 1761 e il 1763 con opere in marmo e in gesso da Gaetano Amoroso, di Miano, che era allora un casale dì Napoli, capomastro stuccatore ed intagliatore, La volta fu affrescata nel 1768 da Matteo Vigilante, pittore solofrano.
IL Campanile della chiesa dì Santa Maria Maggiore, alto 36 metri, in pietra. Fu realizzato tra il 1761 e il 1772 su disegno (andato perduto) del Vanvitelli, l'architetto della reggia di Caserta, dai maestri scalpellini Eligio Falcucci di Grottaminarda e Domenico Quarata di Fontanarosa, che ne lavorarono i blocchi di pietra bianca della cava di Carpignano, 30 canne di pietre squadrate e modellate a tre carlini e mezzo la canna(in tutto 18 ducati). La sua base, a forma di pera massiccia, tiene collocata sulla sua porticina d'ingresso la statua marmorea dell'arciprete Giovanni de Bellucis (1564-1626), recuperata dalla vecchia chiesa caduta col terremoto del 1732. Questa statua è dello scultore napoletano Francesco Vannelli e risale al 1621. Faceva parte del monumento funebre che l'arciprete si era fatto costruire ancora in vita dentro la chiesa di Santa Maria. Fu salvata dalle macerie della chiesa e collocata qui per volere dei confratelli settecenteschi di Santa Maria, che in questo modo vollero tramandare ai posteri che fu proprio lui, quest'arciprete, nel 1624, cioè due anni prima che morisse, a raddoppiare il capitolo dei canonici di questa chiesa, portando il numero dei preti da sette che erano prima a quattordici più due soprannumerari e impegnandosi a pagare loro gli stipendi annuali per il futuro con i suoi soldi ricavati dalle sue rendite di terre che possedeva oltre ogni misura e che quindi finirono in proprietà della chiesa collegiata di Santa Maria Maggiore.
Grottaminarda: II campanile longobardo

Grottaminarda : il campanile longobardo
Quest'antichissimo campanile di Sant'Angelo di Grottaminarda, in tutto simile a quello pure longobardo della Cattedrale di Avellino, è costruito tutto in pietra con il reimpiego di materiale di spoglio proveniente dall'area sacra romana della collina di Portaurea, simile al materiale utilizzato per la costruzione delle mura longobarde di Benevento. La sua base massiccia è di forma quadrata. Al lato che sporge su porta Sant'Angelo, abbattuta a seguito del terremoto del 1980, mostra ancora oggi una feritoia stretta e allungata, segno questo evidente che oltre ad essere campanile fu torre dì difesa della porta d'ingresso al paese antico. Inoltre, sulla facciata del primo impalcato che guarda verso la chiesa di Santa Maria Maggiore, ecco che si notano cinque Bacili in ceramica, di cui solo due sono arrivati integri ai nostri giorni (quello del cavaliere medioevale o forse croce o ancora segno zodiacale del Sagittario, e l'altro delle tre sfere azzurre o la Genesi, che ricordano lontanamente quelle della cupola della chiesa di San Marco a Venezia). Con questi fondi di ciotole di ceramica si usava abbellire le facciate dei campanili di chiese tra il IX e il XIV secolo. Esse sono un piccolo esempio di 'stile pisano' in quest'angolo dell'Irpinia, dove sono pure documentati in una pergamena conservata a Monte Vergine i rapporti economici tra pisani e grottesi al tempo delle repubbliche marinare. II secondo e ultimo impalcato del campanile, poi, sempre sul lato che volge verso Santa Maria, presenta una bifora e ai piedi di questa, proprio sotto la cornice, un bel frammento di capitello corinzio di epoca romana.
Grottaminarda: la casa della Dogana aragonese

Grottaminarda: la dogana
Ci troviamo sulla via di Puglia per il pagamento del pedaggio per chi trasportava grano e animali da Foggia a Napoli.
E'monumento nazionale, unica del suo genere ad essere sopravvissuto fino ai nostri tempi lungo tutto il percorso di questa via, da Napoli a Lecce. Questa Dogana aragonese risale al 1467. Era il luogo dove il signore del paese riscuoteva per conto dei re di Napoli i pedaggi su merci e animali di passaggio tra la Puglia e Napoli. In seguito, svolse anche la funzione di Stazione di posta, quando con la costruzione della via nuova di Puglia nella seconda metà del '500 fu organizzato pure il servizio postale tra Napoli e Lecce. In origine aveva solo un pianoterra con i soli suoi due archi in pietra; uno di questi tiene il portale d'ingresso con a tutti e due gli angoli superiori scolpite le figure di un bel volto femminile dalle lunghe trecce ricurve sul viso a un lato, e all'altro lato un volto maschile barbuto Non si sa cosa stiano a significare queste due sculture quattrocentesche ; c'è addirittura chi pensa che questa, prima di divenire dogana, fosse una casa di appuntamento su questo tratto di via di Puglia, a metà strada tra Napoli e Foggia.
Nel 1774 fu sopraelevata con la scalinata esterna e il portale in pietra bianca lavorata, attraverso cui ci s'immette nella loggetta sorretta da quattro colonne recuperate di epoca romana, dietro la quale si aprono vari locali adibiti a osteria e a locanda.
E di questa locanda grottese ne sa qualcosa l'abate Galiano, l'autore della commedia in dialetto napoletano del "Socrate immaginario", del 1776, musicata da Paisiello, preso a sassate proprio qui davanti per aver voluto prendere in giro i grottesi:
"... Sappi ch'io sono stato
a conzurtà l'oracolo
nella Grotta Minarda
pe' sapere chi fosse
il maggior sapio della Magnagrecia:
e cierti pecorare
che mm'hanno ditto ch'erano
i sacerdoti del numo Apollo,
mm' hanno in cuollo
attizzato il cane, e consegnate
cierte poche vrecciate a li filiette.."
Grottaminarda: il Castello della famiglia di San Tommaso d'Aquino

Grottaminarda: il Castello
II Castello d'Aquino di Grottaminarda, col palazzo signorile di questa famiglia attaccato alle sue mura anteriori, magnificamente restaurato, è di forma trapezoidale ed è di chiara fattura longobarda, perché dentro le sue mura di cinta mostra non abitazioni, ma solo ampi terrazzamenti che un tempo servivano ad accogliere la gente in fuga dalle guerre che allora erano all'ordine del giorno tra i longobardi di Benevento e i greci bizantini, e che oggi sono, invece, dei magnifici giardini aperti al pubblico.
Qui dentro, San Tommaso, se proprio non vi nacque nel 1225, almeno meditò sui destini dell'uomo e sull'esistenza di Dio; ricordiamo che il padre, Landolfo d'Aquino generale al servizio dell'imperatore svevo Federico II, re di Sicilia, era allora feudatario del paese.
Qui dentro soffrì a lungo le sue pene d'amore la dolce Fiammetta del Boccaccio; vi arrivò da Napoli nel 1338, dopo aver lasciato il Boccaccio, e vi morì pochi anni dopo e fu sepolta in Monte Vergine.
Fiammetta apparteneva d'Aquino grottesi che vissero a Napoli, alla corte di re Carlo d'Angiò, al tempo in cui il Boccaccio soggiornava a Napoli. La madre, sposata con un d'Aquino di Grottaminarda, era l'amante di re Roberto d'Angiò. Così racconta la cosa, il Boccaccio:
'questo re, preso del piacere d'una gentilissima giovane dimorante nelle reali case, generò da lei una bellissima figliola, e volendo della giovane donna serbare l'onore, sotto nome appositivo d'altro padre (Aquino), teneramente la nutrì'.
Il Boccaccio vide la sua Fiammetta la prima volta dentro la chiesa di San Lorenzo di Napoli un sabato santo e subito se ne innamorò. Questo suo amore fu subito ricambiato da Fiammetta, che cosi ragionava tra sé e sé:
'Io son giovane, bella, vaga e lieta.
Vedova, ricca, nobile ed amata,
senza figlioli ed in vita quieta,
perché essere non deggio innamorata'?
Grottaminarda: iI santuario di Santa Maria di Carpignano
Questo santuario giace in mezzo alla macchia mediterranea, è retto oggi dai bianchi frati mercedari, ha la chiesa e il convento nuovi, ricostruiti dopo il terremoto del 1980 per opera di padre Pasquale Pasquariello da Fontanarosa. Esso è meta di pellegrinaggio per le popolazioni della valle dell'Ufita che qui si recano in processione nel mese dì maggio di ogni anno; è anche centro religioso attrezzato nonché confortevole casa di accoglienza e di soggiorno, punto di riferimento, grazie alla sua collocazione geografica, per il turismo religioso di passaggio in pullman, diretto a San Giovanni Rotondo o a San Gerardo, a Pietrelcina o a Monte Vergine.; ospita anche gruppi che vogliamo trascorrere qualche giorno in ritiro.
Questo santuario di Santa Maria di Carpignano di Grottaminarda prende nome da un'antica immagine di Madonna Nera dipinta su una grande tavola di noce di cm, 205 X 75, che ivi si conserva. Questa Madonna tiene il volto di colore scuro e sta seduta in trono con in braccio il bambino Gesù che strìnge in mano un uccello; la Madonna ha alle sue spalle due angeli che le reggono il velo e guarda direttamente l'osservatore che resta colpito dalle sue vesti colorate di verde e di rosso e trapunte di stelle, e soprattutto dai suoi grandi occhi orientali che guardano e ipnotizzano.
E' di chiara fattura bizantina, nonostante i suoi innumerevoli rifacimenti nel corso dei secoli. Non sappiamo se fu portata in salvo da Costantinopoli al tempo delle lotte contro il culto delle immagini sacre del secolo IX scoppiate in Oriente, o durante le Crociate del secolo XII.
Secondo la tradizione. E come sta scritto in fondo al quadro, essa fu rinvenuta nel 1150 da un pastore sopra un albero di carpine. Ma tale secolo è pure il secolo in cui nacquero gli Ordini cavallereschi militari dei Templari, degli Ospitalieri e dei Teutonici, che affiancarono i crociati che partivano alla conquista del Santo Sepolcro di Gerusalemme come polizia militare a difesa dei pellegrini, come fornitori di grano e vettovaglie di ogni genere, creando lungo le grandi vie che dal nord d'Italia portavano al porto di Brindisi numerose grancie, cioè masserie circondate da gruppi di case e da chiese e magazzini e pozzi. E una di queste fu certamente la grancia di Carpignano, perché per la sua 'carrara pubblica' transitavano quei crociati e pellegrini che da Roma e Benevento e da Salerno, si immettevano nella piana di valle Ufita dentro l'antico cammino della 'via longobarda' per Monte Sant'Angelo e il Gargano, per finire a Brìndisi, dove si imbarcavano per la Terra Santa.Questa di Carpignano fu dì certo una casa teutonica, alla diretta dipendenza della loro Commenda di Benevento. Dopo la soppressione di quest'Ordine, la grancia di Carpignano passò nel 1478 ai frati militari dell'Ordine cavalleresco degli Ospitalieri di San Giovanni di Gerusalemme detti di Rodi e poi di Malta ma non con tutte le proprietà terriere: parte dei circa duecento tomoli di terreno passarono alle dipendenze della chiesa di Santa Maria Maggiore di Grottaminarda, assieme alla chiesa stessa di Carpignano,
La chiesa dì Santa Maria di Carpignano, così, continuò ad essere amministrata, assieme alla parte dei suoi beni terrieri che le furono assegnate nel 1478, dai preti di Santa Maria Maggiore di Grottaminarda , finchè non vi arrivarono nell'anno 1600 i frati Fatebenefratelli dì San Giovanni di Dio; anch'esse , come gli Ospitalieri, sì dedicavano ad assistere i pellegrini e a creare strutture ospedaliere lungo le grandi strade che portavano al porto di imbarco di Brindisi; ricordiamo che avevano aperto i grandi ospedali di Benevento. Sulla via Appia e di Troia, sulla via Traiana. E fu proprio nell'occasione dell'arrivo a Carpignano di questi frati Fatebenefratelli che si rinnovò il fervore religioso popolare per la Madonna di Carpignano e il suo quadro venne così restaurato per la prima volta nell'anno 1600 da Angelo Antonio Della Grotta che apparteneva ad un'agiata e antica famiglia grottese. Questi fece pure dipingere all'estremità inferiore centrale del quadro della Madonna lo stemma del braccio teso che è proprio il simbolo dei frati Fatebenefratelli . I Fatebenefratelli rimasero in Carpignano sicuramente fino al 1636, come attesta una campanella di bronzo con sopra scritta questa data e lo stemma dì San Giovanni Battista, conservata dentro il museo del santuario.
La chiesa di Carpignano, posta, com'era sulla via che portava ai freschi pascoli del Formicoso e della media valle dell'Ofanto continuò per tutto il '700 ad attirare gente che andava lì , ad esempio, per ringraziare la Madonna nera della pioggia venuta a vincere la siccità e della guarigione arrivata ai propri animali, E la sua piazzola antistante con la sua fontana a lato era un brulichio di gente pittoresca, specie di grottesi che l'ultimo sabato di maggio di ogni anno, subito dopo la tradizionale distribuzione di taralli e vino dinanzi alla chiesa del Rosario, vi si recavano in processione in pompa magna, preceduti dai fratelli delle congreghe processionalmente vestiti. Ma fu nel corso dell'800 che questo santuario di Carpignano subì una crisi profonda a causa della confisca delle sue terre, da parte dello Stato, vendute poi all'asta nel 1867 e nel 1868, e nel 1869: in quelle occasioni sì voleva confiscare addirittura il tesoro fatto di ex voto della Madonna, che veniva conservato nella nicchia della miracolosa immagine di Maria Santissima dì Carpignano, la cui chiave era conservata dall'arciprete di Grottaminarda. A seguito di ciò, il tesoro della Madonna crebbe sempre di più. E cosi tutti gli oggetti d'oro raccolti in tanti anni, furono depositati il 21 febbraio del 1893 nella nicchia della Madonna di Carpignano. Erano donativi di oro e di argento: laccetti, spille e spolettoni, orecchini a campanella, a cassa, a cerchioni, a coppa e a palla, orologietti a castagna e orologi d'oro e d'argento, braccialetti, anelli, cori, cornicelli, spolette, rosari con segnacoli d'oro, fioccaglie a cassa, a coppa, a palla e a cascia, fili d'oro. Di tutti questi ex voto, i più numerosi restavano gli orecchini a palla, ovverosia le cócole che ancora oggi noi vediamo sul mantello della statua di gesso della Madonna quando viene portata in processione nei giorni di festa di maggio e settembre.
Abbandonata dai frati, la chiesa visse stentatamente sotto la cura di due eremiti, fino nel 1901 quando arrivarono i frati mercedari che vi edificarono il convento dove tuttora abitano. Oggi, la chiesa è tutta nuova, perché è stata rifatta dopo il terremoto del 1980. Nel suo interno, oltre alla pala antica della Madonna, si possono ammirare alle sue due pareti laterali otto grandi tele del pittore Tullio De Franco realizzate tra il 1991 e il 1996, che sono il racconto della vita di Gesù. Attaccato alla chiesa, è il convento ricostruito anch'esso dopo il terremoto dell'80; è attrezzato con ben 33 stanze ammobiliate , con bagni e servizi e con una cucina a piano terra, il tutto per offrire una confortevole accoglienza a chi pratica il turismo religioso e sia di passaggio sull'autostrada Napoli-Bari.
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