Le canzoni di giacca
il protagonista: il guappo
Per tentare un'analisi della cosiddetta "canzone di giacca", gli strumenti della critica musicale sono insufficienti, in quanto ci troviamo davanti a un fenomeno di costume che va indagato nell'ambito di psicologia, sociologia e antropologia. Le caratteristiche musicali della
Canzone di giacca si riassumono in poche parole e non sono particolarmente rilevanti: nelle strofe la melodia è più incalzante mentre nel ritornello tende a distendersi in valori più ampi; la tonalità, in genere, è minore ma, a volte, con il ritornello in maggiore; la struttura ritmica è quella della serenata spagnola o del tango.
Ma perché si chiamava
Canzone di giacca? La risposta è semplice e banale: nelle riviste e nei varietà teatrali i cantanti specializzati in questo repertorio si presentavano vestiti impeccabilmente con giacca, cravatta, cappello e insomma secondo tutti i dettami della moda maschile dell'epoca. Questo perché il cantante impersonava una figura che al vestire teneva moltissimo: il guappo.

Il guappo Enzo Turco nella scarpettiana Il turco napoletano
La condizione di guappo non era certo ereditaria, anzi si raggiungeva con un percorso rischioso e sanguinoso, fatto di cieca obbedienza e di totale annullamento del sé in vista dei più alti e generali fini di quella che allora si chiamava "onorata società" (stiamo parlando di un periodo che va dall'ottocento fino, più o meno, alla seconda guerra mondiale).
Lo status di guappo, una volta raggiunto, andava ostentato attraverso tutta una serie di simboli di benessere e potere, tra i quali l'eleganza nel vestire era forse al primo posto in quanto immediatamente percepibile da tutti.
Sappiamo che, per le imprese di maggior portata, il guappo doveva agire insieme ad altri e quindi era soggetto a gerarchia; nella sua personale zona di residenza, però, era re assoluto, dispensatore di grazie o punizioni, padrone della vita e della morte. Al guappo veniva chiesto di essere uomo tutto di un pezzo, senza cedimenti; poteva anche fare del bene, ma in nome della giustizia e non del sentimento. Attenzione, qui non si sta parlando soltanto della figura storica del guappo ma anche della sua figura mitica, divenuta emblema e punto di riferimento per larghe fasce della popolazione.
Quali potevano essere, nella realtà e nell'immaginario collettivo, i rapporti del guappo con l'amore? L'amore tradizionalmente concepito come tenerezza, abbandono al sentimento e dimenticanza di sé era sentito come un qualcosa di negativo che andava a intaccare sensibilmente la virilità nonché la pretesa superiorità del guappo.
Prendiamo due canzoni emblematiche:
Guapparia e
Serenata di Pulcinella. In entrambi i casi il guappo si è innamorato in modo "tradizionale"; avverte una sorta di dipendenza dall'oggetto amato e vive questa sua condizione con vergogna e quasi con incredulità. "una volta ero il più guappo dell'Arenella, tenevo fidanzate a mille a mille … ora mi faccio chiamare Pulcinella". Totalmente spogliato del suo potere virile, il guappo è ora paragonabile a una maschera, a un buffone. "ora che ho perso tutta la guapparia, cacciatemi dalla Società". Insomma, il guappo non è più guappo. Va notato che in tutti e due i casi, le donne sono innocenti, non hanno tradito né abbandonato né mancato di corrispondere. In
Guapparia scopriamo che "Margarita" non ha fatto nulla di male al suo innamorato. Se la serenata è "intossicosa" e ai suonatori viene da piangere è solo per la "caduta" del guappo, ridotto a cantare serenate, a manifestare amore, a richiedere affetto e comprensione. L'innamorato di
Guapparia ha almeno il coraggio di mostrare apertamente la sua debolezza, anche a costo di essere "cacciato dalla Società"; nella
Serenata, invece, l'atteggiamento è più subdolo e mellifluo: "te lo dico zitto zitto chè se grido la gente, che non sa niente, può sentire: ti voglio bene".
Ma quale sarebbe allora, il "giusto" comportamento del guappo nei confronti della donna? Il possesso e l'ostentazione. E dell'amore? L'assoluta mancanza di manifestazioni esteriori (se non quelle legate, appunto, al possesso e all'ostentazione).
Lo dice apertamente la Bambenella di Viviani a proposito del suo convivente: "Mi uccide di mazzate… mi vuole un bene sfrenato… ma non me lo fa vedere".
Insomma, il guappo non può comportarsi come un uomo comune perché non si sente né è sentito come un uomo comune e ciò a causa della sua lunga serie di sofferte iniziazioni che l'hanno portato, infine, alla completa acquisizione del codice di omertà inteso nel suo significato originario, cioè di "essere uomini, comportarsi da uomini". Codice fondato su un concetto basilare: l'onore. Naturalmente il senso dell'onore è un concetto positivo che accomuna tutta l'umanità; quello di cui stiamo parlando in questa sede potremmo chiamarlo iper-onore, un senso dell'onore dilatato a dismisura com'è dilatato l'io del soggetto che ne fa il suo valore portante.
a cura di
Giancarlo Sanduzzi