La signora delle verità future lo accoglieva la mattina e Carminiello scendeva da Posillipo verso i campi flegrei fino a venti passi dall'antro. Ella lo accoglieva di spalle sulla soglia, non consentiva si avvicinasse oltre, la sua voce non era diretta, ma proveniva echeggiata dall’interno. L'ultima volta che vi si recò, il ragazzo percepì un sorriso nelle sue parole:
La Signora: Andrai lontano ed eroe tornerai, se farai però come ora disporrò .......
Carminiello: Grazie, mia regina del futuro, farò legge del tuo desio, eroe tornerò. Mostreratti infine al tuo pellegrino?
Viveva nel piccolo borgo del casale di Posillipo a metà del secolo XV un'umile e decorosa famiglia, con a capo Domenico Palumbo, Mimmo, negoziante di tessuti e generi vari sempre in bottega sulla pedamentina che portava verso il mare, poi la mamma Rosella aiuto in negozio, padrona in casa, ed infine il figlio Carmine, sedicenne contestatore e spirito libero.
Domenico: figliolo, tempo sarebbe per lo tuo impegno allo negozio di merci più che vagare ad ascoltar teorie e fantasie.
Carmine: padre, merci e scambi non son la mia arte, restate terrapiattisti, io girerò lo mondo, partirò da dritta e tornerò da manca.
Domenico: tu marrano ribelle e scansafatiche, vaderai allo limitare della terra e caderai a mo’ di rovescio nel profondo dell'abisso. Parte dunque, prende lo primo treno e va alla zia Lauretta che in Genoa troveratti lo imbarco per le tue sventure.
Carmine: padre lo treno non fu ancora disignato.
Domenico: da me non avrai quattrini, adopera autostop.
Carmine: Padreeeee, cosa dite mai?
Domenico: va' e non tornare ne' da dritta e ne’ da manca, va'.
Il viaggio verso Genova fu lungo e periglioso, la zia forse non lo attendeva più ma poi lo accolse quasi come un nipote e lo sistemò come mozzo a bordo di un vascello che trasportava maiali al soldo dell'ammiraglio Andrea Doria. E dopo lungo tempo:
Carmine: scusate l'ardire illustre messere, nulla di me cognoscete, nulla da me temerete, per una sola cosa ai pie' vostri mi prono: date me lo vascello più vetusto e lacero che ancor pria di farne foco per camini potrebbe destinarsi ad uso nobile e scientifico. Porterammi lontano, in terre d'India, salpando verso l'occaso e non verso l'oriente.
A.Doria: spiacente di darvi replica in tal senso ma Doria noi siamo ed ora biscotti facciamo, salpate pure da dove e per dove desiate ma di vascello e palanche non dimandate. Uno solo servigio a voi potrei recare, dirvi lo nome di chi potravvi aiutare: lo re Giovanni II di Portogallo, noto di me debitore di arance ed altri frutti, in mare naufragati ed a me destinati. A nome mio dunque andate. Sarete servito del credito a me dovuto. Andate, andate.
Carmine: posso dunque lo vostro nome proferire?
A.Doria: lo nome mio sì, ma non lo vostro. Palumbo Carmine sapora di terre lontane, cosa figura lo palumbo?
Carmine: Lo palumbo figura lo colombo, messere.
A.Doria: Colombo nomarsi convene, mio venturiero, Colombo Cristoforo che più ancor garberebbe.
Munito della accresciuta speranza di raggiungere l’obiettivo ma soprattutto del salvacondotto doriano, veloce fu il passaggio fino alla terra d’Atlantico.
Re Giovanni: Colombo siete e per mare andreste? Scusate l’ardire, lo nome vostro allo volo s’addice, non allo vogare.
Colombo: sovranità e ironia son la licenza che nessun vi nega, sire, non umiliate oltre chi servo vi si manifesta ed umile attende desiata risposta. Lo dolce Andrea dei Doria ammiraglio, grande speme mi donò per lo credito ben noto dello malo naufragio di frutta e cose a lui indirizzate.
Re Giovanni: dunque lo Doria che quelli frutti mai vide né dopo né pria e che nomava portogalli, per ignoranza e meschineria, mentre arance erano e sono ancora, non solo moneta trasse dallo finto naufragio da lui medesimo vocato alla Adriatiche Assicurazioni, ma altri quattrini reclama, in sfacciata presunzione? Deh mio incauto e nobile messere, lasciate dunque la terra lusitana, noi portoghesi, giammai paghiamo, figurarsi due volte a chi da Genoa provene. Ma la carità cristiana che mai lassa lo spirito regnante impone a me darvi finale speranza: di Castiglia sovrano Ferdinando dunque cercate ma non ad esso recate lo vostro quesito, bensì a dama e regina Isabella, sua consorte, poco fedele ma molto disposta. Se facere sapete movere la vostra loquenza e doni recate con gesta seducenti non uno ma dieci vascelli al fine terrete.
Seguendo i consigli di Giovanni e avendo colto in pieno il momento e la notte opportuna, Cristoforo ottenne l’utile e il dilettevole.
Isabella: Non crediate messere che tali favori miei si arrechino in dove ogni homo possa carpire, nutrirsene, godersene. Mai accadde nella giovine mia esistenza. Obliate lo corpo e gli spasmi qui recenti. Ite dunque indove crediate con le mie concesse caravelle. Longo è lo cammino ma grande è la meta se vera si conferma la vostra istoria.
Colombo: None. Acchè possa morir di fulmine in lo capo se verbo anche minimo possa escir di bocca mea su quanto accadde in presente alcova. Ma porterovvi gemme e perle e giade di terra di India, che mai occhi sì belli videro sì belle.
Isabella: Dunque è lo cervello che vi ammanca, se allo ritorno vostro tali presenti venessero solo offerti alla mia umile persona, nullo dubbio rimarrebbe allo consorte mio Ferdinando sulla sua mogliera: grigia femmena roditrice.
Colombo: Sanza indugiar io fuggo che tempo è di fuggire. Le grazie, mia dama, le grazie.
Viaggiando d’estate avrebbero avuto i favori climatici e fu così che dopo solo due mesi dalla cima dell’albero maestro della seconda caravella si avvistò una luce.
Rodrigo: Terra! Deh terrah!
Colombo: Luce si profila, non terra come dite, nullo premio avrete, come si conviene a chi primo avvistasse lo suolo.
Rodrigo: Ma nostro duce, quale luce potesse essere sospesa se non di locale foco su terra situato?
Colombo: Potesse essere lume di fulmine o astro cadente in orizzonte, marrano. Acchè giusta visione appaia attendiamo l’alba et io dichiarerò la terra et io lo premio avrò.
Rodrigo: Mai nella lunga e mal frequentata vita da me vissuta incontrai uno malo homo quale voi siate, nostro duce.
Colombo: allo giorno 10 ottobre 1492 terra si avvicina, il diario possiede altre righe due, approderemo lo giorno appresso dimane, per completare la pagina.
Rodrigo: quale follia vi indusse a consumar di cena quattro e più vini diversi onde proporre una sì bizzarra soluzione in vista della meta?
Colombo: Noi la cognosciamo, lo duce vostro e la ‘signora della verità’ che a tanto mi spinse in tempo remoto. Noi lo cognosciamo lo motivo e più non proferite verbo ma trasferite ad altri lo mio comando.
La vera impresa: tornare e raccontare. Doppiare il cammino e non solo andare e vedere e constatare. Passarono poi giorni e mesi e anni e altre terre e altri mari. Colombo eroe non aveva compiuto il giro più lungo ed impegnativo. Tornare la da dove era partita la profezia, al limitare dell’antro della signora.
Sibilla: Cosa vi porta in mia prossimitade, nobile messere?
Colombo: Lo tempo e lo mio mutato aspetto e vestimenti non son d’aita. Ero Carmine e Cristoforo or sono. Ero fanciullo indomito e curioso, homo adulto ma curioso resto. Orsù concedete quanto tacita prometteste a chi li compiti ardui intraprendette al vostro comandamento.
Sibilla: Io comandamenti? Giammai segnore.
Colombo: La luce folgorante dei vostri occhi mai io vidi ma lo peso dello sorriso vostro immaginato e dell’oracolo proferito furono la carica che tanti lustri e migliaia di miglia trascorsero sanza che io obliassi d’esser reduce a qui per lo desio più ambito.
Sibilla: Nobile messere, eroe indomito e paziente, se voi mi vedete in medesima sembianza qual lustri e lustri or sono mi vedeste non è un dono. Acchè io posso per mille e mille anni ancor sàpere lo di altri futuro e con arte e mistero trasferirne il senso ai miei pellegrini, prezzo alto ne ha. Non vidi volto mai e mai occhi videro me, ma tutto percepisco dello presente e dello futuro, ignorando per legge crudele tutto lo passato, mio e dello mondo intero.
Questo lo prezzo, memoria ebbi fino alla età in dove si fermò la lunga chioma che vedete, e tale novella mi fu concessa da una anziana pellegrina che appellavasi essere mie madre inconsolabile.
Colombo: Nulla potrà stupire oltre lo mio cervello. Pietra sento delle mie membra. Il desio di restare è pari allo fuggire via lontano con la speme di destarmi dal sogno nello quale trovomi, mia signora.
Carmine: Buongiorno mamma, che bella giornata, papà è già al negozio. Il tempo di sistemarmi e lo raggiungo subito.
Rosella: Sì, tesoro, vai che oggi è sabato e nel pomeriggio andiamo in giro da qualche parte tutti e tre.
Carmine: Mi piacerebbe andare a Cuma, mamma, devo vedere una cosa che ho sognato.