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Il chiattillo



di Vincenzo Ragno

Negli anni sessanta fiorì a Napoli il chiattillo. Era un giovane maschio, 18 – 25 anni d’età, che d’inverno trascorreva il tardo pomeriggio e la mattina della domenica al mai troppo compianto bar Cristallo di Piazza dei Martiri o al Miranapoli a Via Petrarca. Talvolta agli chalet di Mergellina. Contraddistingueva la stirpe dei chiattilli innanzitutto l’abbigliamento: pantaloni di velluto a vita bassa e zampa d’elefante, pullover giro collo e camicia con colletto a due bottoni. Aria perennemente annoiata, un bicchiere in mano con qualcosa dentro, sguardo perso a contemplare l’universo, ed in attesa dell’acchiappanza.
Prima di andare oltre va precisato che era possibile individuare due categorie principali di chiattilli: il simplex e l’evolutus. Il simplex vestiva pullover in lambswool tipo cashmere e bastava sfiorarlo per accorgersene. Viaggiava a bordo di una Vespa (50 o 125 a seconda dell’età) oppure di incredibili Fiat 500 pseudo abartizzate: marmitte sfondate, pneumatici ribassati, volante in legno etc. L’importante era il rumore. Punto di riferimento il Miranapoli o l’Aegidius a Via Carducci.
L’evolutus acquistava i suoi cashmere da Eddy Monetti, le camicie erano fatte su misura, la zampa d’elefante calibrata sul numero di scarpa indossato. Di casa da Marinella, usava le essenze inglesi che trovava in quel negozio. Viaggiava esclusivamente su MG Midget, Triumph o Porche 356: le due ruote non potevano essere altro che una Triumph Bonneville, una BMW 500 o una delle prime Harley Davidson sbarcate in Italia. Qualcuno arrivava persino all’ “E type” Jaguar, (quelli che i non iniziati chiamavano semplicemente “Giaguaré”) preferibilmente in versione coupé.
Tutto l’atteggiamento del chiattillo era finalizzato all’acchiappanza, ovvero al rimorchiare una fanciulla adeguatamente carina e disponibile in un locale appartato dalle luci soft. Il primo di essi un club privato, lo “Stereo” in parco Margherita, dove al ritmo di Cuore di Rita Pavone o di Don’t play that song di Peppino di Capri si ballava sulla mattonella. Dall’atteggiamento della figliola durante il ballo lento s’intuivano le possibilità di… concludere adeguatamente la serata, ma sempre entro mezzanotte al massimo. La semioscurità del luogo favoriva i primi baci e le prime carezze mai troppo osé. Chi aveva la fortuna di una seconda casa di villeggiatura nei paraggi riusciva persino ad avere qualche momento di intimità più spinta: non esisteva ancora la pillola e se non ti stavi molto ma molto attento il matrimonio riparatore era in agguato.
Nel guardaroba del chiattillo non mancava mai lo smoking. Il simplex lo aveva acquistato preconfezionato con papillon finto ad elastico. L’evolutus se l’era fatto tagliare da Blasi o da Caggiula in Via Calabritto, ed aveva imparato da Don Eugenio Marinella l’arte del nodo. Il capo era di rigore alle feste dei diciott’anni e alle prime al S. Carlo.
Raramente il chiattillo autentico si infrattava al Parco della Rimembranza, sia per scomodità del veicolo (500 o Triumph che fosse) sia per il rischio di essere riconosciuti e segnalati ai sempre vigili genitori delle fanciulle del tempo.
Appena iniziata la stagione estiva, il chiattillo si trasferiva a Capri, almeno per una giornata; i più fortunati per il week end.
Destinazioni preferite, ovviamente, “da Maria” e "Canzone del Mare”. Il chiattillo simplex si fermava a Marina Grande dove giungeva in traghetto, al massimo con l’aliscafo, portando con se le cibarie per la giornata e limitandosi all’acquisto in loco di acqua minerale, al massimo di Coca Cola.
Il chiattillo evolutus, quando decideva di fare colpo sul serio, otteneva l’uso dell’Ariston o del Super Aquarama di famiglia nelle cui cambuse non mancavano mai i tramezzini freschi preparati al Cristallo e adeguate bottigline monodose di champagne.
Quando la barca non era disponibile, il colpo si faceva con l’elicottero: ad un prezzo relativamente conveniente (anche per quel tempo, circa ventimila lire) le Elivie ti trasportavano dalla piattaforma di Piazza Municipio (ricordate?) a Damecuta, dove un capo scalo deliziosamente gay accoglieva cordialmente i maschi e lanciava sguardi corrucciati alle loro accompagnatrici. I primi elicotteri erano gli AB 47, tre posti pilota incluso, poi, nell’ultimo periodo di arrivò ai Sikorsky da 20 passeggeri e più, ma Capri stava già finendo. Pronto sempre il taxi Fiat 1400 scappottato rosso Ferrari per scendere alla Canzone. Con poderose raccomandazioni da molto, molto in alto, talvolta si otteneva la mitica cabina n. 4, un vero appartamentino con tinello e camera da letto, riservato ai supervip (veri) del tempo: dal Presidente della Repubblica a scendere. Chissà se, finiti i vip veri esiste ancora.
Le serate capresi del chiattillo cominciavano e finivano in Piazzetta davanti al bar Vuotto, per l’aperitivo, il drink dopo cena, l’organizzazione della serata ed, infine, il cornetto ed il cappuccino all’alba.
Il bagno di notte era un must, soprattutto se si disponeva di una barca propria. Sotto Damecuta un’acustica fantastica diffondeva la musica dei primi “mangiadischi” portatili ed una bottiglia di qualcosa di fresco e di frizzante era delizioso da bere prima, durante e dopo il bagno e… quant’altro. Il mare non era trafficato come oggi e chi andava per mare rispettava le regole.
Si cenava dove capitava, l’ideale era a casa di amici. L’albergo? Per il chiattillo era secondario: un posto dove tenere gli abiti, farsi la doccia e riposare qualche ora. Gli stretti controlli degli albergatori impedivano ogni altra trasgressione.
Si faceva un po’ di shopping, di cose tipicamente capresi, la fermata da Chanteclair era obbligatoria e si rimaneva con il naso schiacciato sui vetri a contemplare le meraviglie del corallo.
Si ripartiva con gli occhi pieni di sole, di azzurro incredibile di mare e con la voglia sempre intatta di tornare presto per tornare a vivere certe emozioni forti, incredibili, irripetibili altrove.
Oggi? Anche molta Capri, purtroppo, s’è plastificata e siliconata. Le mie coetanee innocentemente sexy sono state sostituite da figliole alla ricerca di notorietà con labbra all’acido folico, guance botulinate e seni al silicone, attraenti e insipidi come i pomodori dei supermercati.
Sepolto dal ’68 e dagli yuppies, il chiattillo non c’è più, come non c’è più la Capri di Chanteclair, dei Ruspoli, degli indimenticati Principi Caravita di Sirignano, Donna Laura la dolce gentildonna che faceva il bagno con il peplo ed il mitico Pupetto, uomo tutt’altro che inutile, come scrisse di sé nella sua autobiografia.
Quella dei ferri da stiro dei russi, dei puttanoni smutandati, degli industrialotti della Val Brembana è un’altra cosa che somiglia vagamente a Capri.

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