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Quello è il mestiere

 

 

Vi proponiamo questo racconto di Dino Simonelli tratto dal suo libro Napoli ...sempre.
Buona lettura!

 

 

 

Quello è il mestiere

                     

“Dotto’, comm’era bello mio zio!
‘O chiammavano Ciuciù.
E comm’era elegante! Pensate che teneva cchiù ‘e trenta vestiti, tutti firmati! Purtava solamente cammise ‘e seta! Era bello Ciuciù!”
“Pasqua’, ma perché parli al passato? È morto questo zio tuo?”
“Morì una sera davanti a S.Efremo.”
“S.Efremo il carcere? Che è stato, il cuore?”
“Si, dotto’. Quello stava tornando perché teneva l’obbligo di passare la notte là. E là lo aspettarono.
Due botte.
Al cuore.
Che folla che ci stava al funerale! E per forza! Quelli gli volevano bene tutti quanti a Ciuciù perché lui era generoso. Lui amava il popolo; lui stava sempre dalla parte dei più deboli.
Dotto’, Ciuciù dava da mangiare a un sacco di gente…
Gli facemmo un monumento sopra al cimitero di Poggioreale, al Nuovissimo, che spendemmo sessanta milioni!”
“Come sarà stato contento Ciuciù!” venne da pensare al dottore che azzardò invece, soltanto…”Pasqua’, ma che faceva ‘stu Ciuciù?”
“Stava in commercio. Lui comprava e vendeva all’ingrosso. Faceva l’impòrt expòrt: importava dalla Colombia e distribuiva in tutt’Italia. Si stava per prendere l’esclusiva!
E quello perciò ce l’hanno ucciso: per gelosia!”
“Pasqua’, per la verità, per come ne stavi parlando, mi avevi fatto credere che tuo zio era una specie di Robin Hood. Invece mi pare… per carità non ti offendere, che stiamo parlando di una persona…, come dire, …non proprio tanto per bene.”
“Dotto’, voi non avete capito! Che vuol dire, quello era il mestiere!”


“Consiglie’, vedete se  potete fare qualcosa per questa signora.
Questa povera donna è tanto brava e ha tanto bisogno. Consiglie’ questa sta veramente inguaiata.”
“Consiglie’” questa volta era proprio la donna a parlare “mi dovete scusare se vi vengo a dare fastidio, ma Giovanni qua mi ha detto che siete una persona tanto brava e che se avete la possibilità di fare qualcosa, sicuramente la farete. Consiglie’, Giovanni ve l’ha detto, io sto disperata; io non so più come debbo fare. Dovete sapere che io c’ho la prima figlia che è rimasta sola con tre figli. Quella ha perso il marito giovane giovane.”
“Mi dispiace. E come è stato? Un infarto?”
“No. L’hanno sparato.”
Consiglie’” riprese “quella pure la seconda figlia mia è rimasta vedova giovane. E tiene due figli piccoli pure lei. Il marito…veramente non era proprio il marito, ma è come se fosse…insomma, consiglie’, quello lo spararono pure a lui.”
Consiglie’,” non era finita…”poi ci sta un’altra figlia ancora e….pure lei sta essa sola con una creatura piccerella. Quello, il marito…”
“Hanno sparato pure a lui?” chiese, con qualche esitazione, il consigliere.
“No. Sta in galera.”
“Meno male. S’è salvato!”
Voi, adesso, state pensando che io sto esagerando, che voglio fare lo spiritoso. Sì, sì lo spiritoso…
“Giova’, ma chi mi hai portato?” chiese il dottore, che era anche consigliere, quando la signora fu uscita.
“Consiglie’, voi non lo sapete, ma io a quella signora la voglio bene assai. La conosco da quando era giovane. Era troppo bella.
‘A chiammavano ‘a cinesa. È stata sempre tanto una brava donna. Quelle tre figlie lei se le è cresciute da sola. Senza un marito che le dava un aiuto. Però si deve dire pure che quella si fidava di guadagnare quello che voleva lei!”
“Giova’, ma che faceva ‘sta cinesa? Per come me l’avevi descritta tu, mi pareva che era arrivata Santa Giovanna d’Arco!”
“Consiglie’, non pazziate! È vero: quella faceva quello che faceva…
Ma che vuol dire, quello è il mestiere!”

 

Lo vedeva passare ogni mattina.
Ogni giorno, alla stessa ora, il dottore prendeva il giornale all’edicola all’angolo e, ogni giorno, alla stessa ora quel signore passava e salutava. Sempre di fretta.
“Don Salvato’, ma quel signore non fa mai festa? Ogni giorno, estate e inverno lo vedo sempre puntuale alla fermata dell’autobus. Ma dove lavora?”
“Sopra agli autobus!”
“E che fa, l’autista?”
“No. Fa ‘o mariuolo!”
“Madonna mia, ho preso questa svista! Mi sembrava tanto una brava persona.”
“Dotto’, ma che vuol dire? Quello è il mestiere!”

 

Il giovane era distinto e ben educato.
Lo incrociava spesso e, ogni volta, pur non conoscendosi, si rivolgevano un sorriso di saluto.
Il dottore si tratteneva, ogni tanto, con Gigino il corniciaio. Parlavano di quadri e di pittori. Gigino ne capiva veramente e, abbastanza di frequente, aveva qualcosa di bello da mostrargli. Il giovane abitava nel palazzo accanto.
Fu una sera, sul tardi.
Il dottore usciva dal S.Carlo con la signora. Avevano avuto un invito per il Tonnhauser… Wagner: quattro ore cantate in tedesco. E quello perciò si era liberato un invito!
Rimpiangevano, stremati, la riposante mediocrità dei cari programmi televisivi perduti e, intanto, cercavano un tassì.
Stava all’angolo: minigonna di pelle, calze a rete e una selvaggia capigliatura nera.
“Gigi’, ma nientemeno ….ieri sera…all’angolo del S.Carlo…quel giovane così distinto…”
“Dotto’, ma che vuol dire? Quello è il mestiere!”

 

E così il dottor Limongelli capì un’altra cosa.
Lui aveva lavorato per trent’anni. Era stato sempre lo stesso: quando usciva di casa e quando entrava in banca; quando ne usciva e, a casa, quando tornava a casa.
Trent’anni di lavoro.
Capì che non aveva mai capito niente.
Quello che conta, quello che tutto comprende e tutto giustifica, che tutti comprendono e tutti giustificano, non è il lavoro.
È il mestiere.

 

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