La nave aveva lasciato il Peloponneso ormai da mesi.
Il comandante cominciava a preoccuparsi: ogni giorno di navigazione gli costava una cifra “blu”. Lui era anche l’armatore. Queste cose le sapeva bene.
Ienaròs Espositòpoulos, questo il suo nome, i marinai li avrebbe voluti filippini che costavano meno, ma non ne aveva trovati; ed ora era lì con un equipaggio greco che, abituati come sono i Greci agli agi e alle mollezze, sarebbe stato più adatto ad una nave da crociera.
Navigavano e navigavano.
Il Mediterraneo se lo stavano facendo, sopra e sotto, avanti e indietro, tutto quanto.
Avevano costeggiato l’Africa Settentrionale: brutta gente! Avevano bordeggiato lungo la Sicilia: occupata!
Ora avevano trovato questa penisola e la stavano risalendo spinti dal vento di grecale… e quale se no!
Espositòpoulos ebbe coraggio.
Espositòpoulos ebbe pazienza.
Espositòpoulos ebbe fortuna. Se l’era meritata.
Il golfo nel quale erano entrati stamattina era il più bello del mondo, di quello conosciuto e di quello che sarebbe diventato, ma ancora tra un po’, conosciuto.
La baia che si apriva davanti a loro era baciata dal sole. Il cielo era azzurrissimo e l’aria odorava di pomodoro e di basilico: i profumi degli dei.
Avvicinandosi alla spiaggia furono avvolti dal suono di chitarre e mandolini che accompagnavano canzoni meravigliose.
Ienaròs e il suo equipaggio erano stati già conquistati da quella terra; ora toccava a loro conquistarla.
Non fu facile. All’approdo a Mergellina, l’ormeggiatore abusivo, Gennaro manomozza, persona molto chiacchierata, chiese un prezzo esorbitante per un posticino stretto stretto che la nave a stento c’entrava, quasi si trattasse di un gommoncino da diporto.
“E che esagerazione! Su, fateci un poco di sconto e così diventiamo clienti. Se no, ci costringete che non ci possiamo fermare e ce ne dobbiamo andare più su a fondare Montecarlo.”
I Greci, non per niente li avrebbero poi chiamati Bizantini, dopo estenuanti trattative, raggiunsero l’accordo su una cifra ragionevole.
Erano arrivati a Napoli.
Ora c’è chi dice che la chiamarono Palepolis, chi dice Neapolis, chi, ancora, Partenope, ma Napoli era Napoli.
Perché, vedete, Napoli è un sogno; è una categoria dell’essere. E’eterna, quindi.
I nuovi arrivati, abituati, ve l’ho detto, alle cose belle e amanti delle tradizioni della loro terra, tirarono fuori l’olio, che portavano dovunque; i maccheroni, che chiamavano lagane, ce li avevano sempre appresso; il pomodoro e il basilico, come sapete, stavano già qua…si prepararono un bello spaghetto sciuè sciuè.
Nasce così la Napoli greca: saporita.
Pensate che guaio se Espositòpoulos avesse trovato i marinai filippini!
I Greci si dovettero dare, subito, da fare; ormai erano arrivati dove volevano arrivare e c’era poco da pensare ad agi e mollezze.
Prima che arrivano i Romani, facciamo subito un paio di templi e tracciamo le strade.
I decumani: quello di sopra, quello di mezzo e quello di sotto. Questo lo chiamiamo via Anticaglia, questo via Tribunali e quest’altro S.Biagio dei Librai. E li tagliamo con i cardini: via Duomo che chiamiamo così perché ci metteranno il Duomo e via Mezzocannone dove…vabbè, di questa ne parliamo dopo.
Poi facciamo le mura; le facciamo belle doppie perché noi non vogliamo dare confidenza a nessuno e nemmeno vogliamo fastidi, tantomeno da quei barbari che vivono nell’interno, nelle grotte e nelle paludi.
Ma hai voglia a farti i fatti tuoi!
E una volta arrivano gli Etruschi, gente brutta brutta con gli occhi lunghi, la barbetta a punta e la faccia sempre appesa; un’altra volta arrivano i Sanniti, corti, tarchiati e sempre incazzati; un’altra volta i Cumani, ma, almeno questi qua, più o meno, non ci sono male. A questo devi aggiungere che ci appiccichiamo pure tra di noi: la città di destra contro quella di sinistra; la città di sopra contro quella di sotto.
Napoli nasce così: incasinata.
Ormai cominciavano a conoscerla tutti quanti nel Mediterrano ed erano in molti a desiderare di vederla. E così un giorno all’ormai vecchio Espositòpoulos venne a far visita un noto ammiraglio ateniese, Diòtimo; tra una chiacchiera e un caffé, finì che si fece tardi assai. Era notte e l’ammiraglio doveva affrettarsi alle navi a dare la buonanotte ai marinai – era una cosa a cui lui teneva molto –; alla luce delle fiaccole che tenevano in mano, Diòtimo e la sua scorta corsero verso il porto.
La gente, che anche allora stava per strada a tutte le ore, vide e apprezzò.
Erano nate le lampadedromie, gare rituali in onore degli dei del fuoco. E così avete capito pure perché a Napoli si spara tanto: i napoletani, per una tradizione antica, amano giocare col fuoco.
Quando i Romani arrivarono…”aoh! noi ce stemo prennenno tutta l’Italia, ora vojiamo pure a voi” gli Ellenonapoletani non si scomposero: ”Sentite, facciamo una cosa” dissero in greco “a voi vi interessa il mare? E noi il mare ve lo diamo. Anzi vi mettiamo a disposizione pure le navi e gli equipaggi; voi, quando dovete fare una guerra, venite qua e ve le prendete. Non c’è problema. Basta che ci fate stare quieti e ci fate continuare a parlare in greco, perché non teniamo la capa di impararci un’altra lingua e poi, scusate tanto, ma il dialetto vostro è proprio brutto ed è pure difficile: le declinazioni, la consecutio temporum…”
Napoli nasce così: accomodante.
E continuò a parlare greco e greci restarono templi e dei. E greche restarono le istituzioni. Si, le istituzioni!
Nelle strette vie, la bancarella del carnacottaro contende il posto a quella di Tonìnides che, sulla lastra di marmo, stende il miele a raffreddare, lo avvolge attorno a un paletto di ferro e, dopo essersi accuratamente sputato sulle mani, lo stende, lo stende e lo taglia a pezzettini. E’nato il Chupa Chups, ma li chiamano bomboloni.
Napoli nasce così: golosa.
Ci sono pure le zeppole e i panzarotti, tanto l’olio ce l’abbiamo; all’angolo ci sta quello che vende lo spasso: ceci, noci e nocelle. Più in là, troviamo le bancarelle di vestiti usati. In quanto a questo, i Napoletani vestono sempre elegante: non hanno rinunciato al pallio e ai sandali che un giorno da Capri e Positano venderanno in tutto il mondo; la toga e le scarpe sono cose da Romani che, è risaputo, camminano camminano e non si fermano mai.
Noi, invece, abbiamo capito tutto. Non ci muoviamo di qua. Pure i vasi li facciamo fuori alla bottega, così prendiamo il sole, ci abbronziamo che sembriamo più belli, ci riscaldiamo e risparmiamo la luce, che già costa cara.
Dappertutto, i banchetti dei cambiavalute: bellezze naturali, commerci e spettacoli attirano gente da tutte le parti. I Romani, e quelli lo sappiamo, quei cafoni degli Osci e dei Sanniti, i Siriani, gli Egiziani e gli Alessandrini, tanti.
Napoli nasce così: affollata.
Proprio gli Alessandrini, che corrono sempre appresso ai soldi, saranno la claque preferita di Nerone.
La vita scorre così.
Petronio, un famoso arbitro che faceva pure lo scrittore, chiamerà “graeca urbs” questa città in cui si continua a parlare in greco.
In greco si canta anche.
E in greco canterà Nerone.