Dopo anni di selvaggia autogestione dell'incrocio Manzoni-Caravaggio da un po' di tempo i semafori presenti, i meno rispettati in città, sono stati finalmente sostituiti da una rotatoria senza tecnologia con la sola presenza di segnaletica orizzontale indicante chi da e chi ha la precedenza.
In verità che fosse un rondò lo avevano già stabilito i tifosi del ‘pibe de oro’ battezzando anche questo luogo ‘rotonda Maradona’, una delle tante presenti in tutta la provincia senza ledere la sovranità della più famosa sita nei pressi di Qualiano, Marano, Giuliano. La rotatoria ha assunto la sua configurazione definitiva dopo una lunga permanenza di orrendi plasticoni ‘ammontonati’ al centro dell’incrocio come spesso capita di osservare in giro per la città. Da Secondigliano al lungomare, dai Camaldoli a Fuorigrotta, lunghissime teorie disordinate di ‘sgarrupati’ blocchi biancorossi e cementoni gialli intervallati da enormi ragnatele arancioni sono il simbolo di un cantiere eterno a meno dei pochi edifici e infrastrutture definitivamente sistemati. Da un drone su Piazza della Repubblica ne potrebbe venir fuori una rappresentazione degna del migliore Kandinsky.
La rotonda dunque ha risolto le lunghe code ad ogni ora del giorno del trivio Fuorigrotta Vomero Posillipo, ma l'autogestione è rimasta. Il codice della strada in mano ai nostri concittadini è come un Vangelo in mano a un musulmano, la presenza dei triangolini bianchi dovrebbe indicare chi, pur provenendo da destra, debba dare la precedenza a chi, pur provenendo da sinistra, abbia già impegnato il giro della rotonda, come accade in tutto il resto del mondo. Qui no. Chi prima arriva a mettere il muso avanti, ad usum motorini, sfidandoti con la coda dell’occhio, l’avrà spuntata. Tra l’altro non tutte le rotonde sono dotate della segnaletica opportuna, vedi Manzoni-Petrarca, Tasso-Falcone, solo per parlare di Chiaia. Il disorientamento è totale. I cittadini, prima di essere automobilisti, rispettosi o meno, sono esseri umani e, come tali, soggetti ai contrattempi, imprevisti, impegni e altri problemi insiti nella condizione umana, per cui la fretta e la distrazione si impossessano spesso di loro. Con questo alibi l’utilizzo delle rotatorie ha fatto risparmiare investimenti e gestioni tecnologiche ma ha anche esasperato il selvaggio comportamento di chi della prevaricazione ne fa un sistema di vita quotidiano.
Da sempre quando si affronta un incrocio, si assume un impegno bellico. La strategia non sta nell’osservare la velocità e la provenienza della vettura che ti affronta nell’agone, bensì capire dall’espressione di chi la guida a che punto è la sua telefonata o sms, e comunque che intenzioni abbia, in che direzione voglia andare e a che livello di rispetto voglia trattare il prossimo. Questa è una delle prime regole, non l’unica.
L’uso del clacson dei motorini è un acceleratore aggiunto. Ad intervalli regolarissimi i colpi di cicalino sono la vera colonna sonora del traffico, peccato che data la quantità, non si riesca a capire se sta davanti, dietro, di fianco, te ne accorgi quando ti taglia la strada o ti affronta in controsenso davanti costringendoti a deviare alla svelta o frenare bruscamente. Nelle rotonde sono come api impazzite su un boccone di nettare.
C’è poi Il pedone che decide di avere fretta e facendo un rapido calcolo delle coordinate dell’incrocio, effettua una spericolata diagonale in pieno rondò. Le acrobazie per evitare di ferirlo non vengono apprezzate e il ‘vaffa’ ti arriva puntuale. Vero è che le strisce pedonali in prossimità delle rotatorie sono una complicazione grafica per gli addetti ai lavori: o triangolini o zebre, decidete voi. Vi ricordate di quando davate la precedenza ad un pedone sulle sue strisce ed egli ti guardava stranito e poi osservava la targa per scommettere che non fossi di Napoli? Ora non capita più neanche questo, le targhe sono anonime o di altre province, dato il rigoglioso mercato dell’usato automobilistico e l’uso di altre residenze e nazionalità per ‘motivi assicurativi’.
In Francia gli incroci si chiamano ‘carrefour’, qui siamo ancora a livello di ‘upim’ ‘standa e ‘rinascente’. Viva le rotatorie, un’invenzione straordinaria, la soluzione a tutti i problemi. Una volta che hai capito come affrontarla ti senti emancipato; poco fa un signore ha ringraziato con un cenno chi correttamente gli ha dato la precedenza, siamo arrivati a ringraziare chi usa correttamente i diritti e i doveri. Una signora nel frattempo, riuscita finalmente ad entrare nella rotonda, era così contenta del risultato raggiunto che ha cominciato a girare vorticosamente dentro il rondò dimenticandosi di dove doveva andare, ha cominciato a cantare e forse è ancora lì che gira.
Ma si dice rotonda o rotatoria? Rotatoria! Le rotonde lasciamole possibilmente sul mare dove c’è magari un disco che suona.
Il futuro è dunque delle rotatorie ma i cari e vecchi semafori? Beh quelli non tramonteranno mai.
Ormai fanno parte della coreografia della città, sì solo della coreografia, soprattutto a Natale, con quelle lucette verdi, gialle e rosse, e le varianti tranviare con le linee orizzontali, verticali e oblique, che belli!
A cosa servono se vengono rispettati poco? Diciamo che sono un consiglio. E poi sono un luogo di ritrovo e di osservazione.
Il semaforismo è una forma di collocazione del lavoro interinale alternativo. Nei semaforisti si contemplano svariate attività occupazionali. Il vecchio storico fazzolettaro, anche il più acrobatico nigeriano, in grado di distribuire pacchi sui cofani di 10 auto e di ritirarne altrettanti prima del ‘verde’, ha ceduto il passo al generico venditore ambulante, un essere metà uomo e metà negozio, munito di tutti i generi di prima necessità. I mendicanti ci sono sempre stati, diciamo che ora sono in attesa di uno spazio lavorativo quando la concorrenza o la nascita, rara, di un nuovo semaforo, lo consentirà.
I lavavetri meritano un discorso a parte. Vi sono in tutto il mondo ma paese che vai, lavavetri che ti meriti. A Stoccolma ti mostrano la spazzola del mestiere e ti fanno scegliere quale detersivo usare, a Lione sono più sbrigativi, alzano la spazzola pronti ma se tu non accetti il negoziato, si inchinano e passano ad altro cliente.
E qui? L’aggressione è semplice o complessa. Quella semplice consta nello sbattere violentemente la spazzola insaponatissima sul cristallo e tu non puoi fare a meno di cedere alla funzione e se hai il coraggio di non retribuire la prestazione non richiesta, te ne vai rigido, ma capita raramente e quindi metti mano agli spiccioli accumulati dal resto di autostrade e tangenziali. Se sei invece abbastanza rapido riesci ad azionare il tergicristallo prima dell’iniziativa avversaria, ti resterà poi solo l’incombenza di ripulire quel po’ di schiuma che inevitabilmente è schizzata sul vetro.
L’aggressione complessa è più difficile da affrontare. Il lavavetri, generalmente atletico e apparentemente distratto, guarda altrove e con una finta degna del migliore Pelè cambia mano e direzione piombando sulla tua auto mentre tu stai ancora pensando a cosa fare. I più abili, veri e propri artisti, ti attaccano da dietro e a nulla valgono quei cinquanta centimetri che fai con la marcia innestata, sei fottuto.
Di acrobati veri per esempio è diffuso gran parte del semaforismo torinese, qui ne ho visti pochi. Le scuole circensi stanno sfornando tantissimi ragazzi, veramente abili con le pive, gli anelli, la mimica e perfino i fuochi. Sono talmente bravi ed innocenti, ancora per poco, che talvolta dimenticano di prelevare l’obolo ma ti sorridono ugualmente, lo vedi dallo specchietto retrovisore.
Purtroppo esiste anche il semaforismo degenere, quello degli scippi di borse, borsette ed altri oggetti, soprattutto orologi. “Qui si porta al polso destro” fu la risposta data al turista inglese che chiedeva conferma di questo pericolo. Cambiò polso quindi al suo Rolex e raggiunta la nostra città con la sua splendida Morgan, con la guida a destra, fu immediatamente scippato tornandosene a casa con uno Swatch di seconda mano ‘made in Forcella’.
Non si vedono più i giornalai, colpa della crisi editoriale ma anche della complessità di gestire consegna, incasso e resto nel convulso traffico e con i tempi ristretti imposti della ripartenza.
Si definisce istante infinitamente breve il tempo intercorrente tra la comparsa del verde e il suono del clacson di chi ti sta immediatamente dietro. Questa la definizione di chi sta avanti.
Si definisce istante infinitamente lungo il tempo intercorrente tra la comparsa del verde e la ripartenza di chi ti precede. Questa la definizione di chi sta alle spalle.
Vero è che chi sta in pole position spesso e volentieri sta così sotto al semaforo da non vederlo, si è messo lì per paura che qualcuno gli si ponga improvvisamente davanti, … e allora si becca la strombazzata al verde.
Il semaforo come punto di osservazione comportamentale non ha eguali.
La telefonatina, il ritocco al trucco, le dita nel naso sono alcuni degli atteggiamenti solitari dei pitstop. C’è anche chi viene colto da improvvisa reazione allo stress e si blocca guardando nel vuoto. Un vigile rivolto ad una signora colta nel pieno di una crisi del genere fece a lei presente che oltre quei tre colori non ve ne erano altri e che quindi al verde, anche se a lei poteva sembrare leggermente azzurrino, conveniva muoversi.
A proposito di colori resta famoso il raccontino di De Crescenzo riguardante il tassista che al vigile che voleva multarlo rispose che lui era passato col giallo e che la multa spettava al suo passeggero che verosimilmente era passato col rosso.
Il telefonino, splendida invenzione, era un vero sogno fantascientifico negli anni sessanta. Ricordo che il mio amico Umberto ed io ci divertivamo a studiare le reazioni degli altri per strada. A bordo della mia Dyane azzurra avevo piazzato in bella mostra un vecchio telefono nero di bachelite e ad ogni semaforo ad alta voce fingevamo di parlare con qualcuno, lo facevamo soprattutto se di fianco c’era qualche bella ragazza. Talvolta ci scappava pure l’acchiappanza. Bei tempi.
Ma il rondò non è una forma musicale? Certo! E Napoli è la capitale anche della musica e … che musica maestro!