Vorrei ora dedicarmi ad entrare in un Mondo Alfonsiano, decisamente Poetico, Partenopeo e Presepiale, ma non solo.
Una particolarità di questo Santo fino ad ora ben poco nota eppur pregnante è il fatto che Sant’Alfonso De’Liguori, ai suoi umili concittadini si esprimeva nella Lingua Napoletana, benché nei suoi studi fosse compreso anche quello dell’idioma toscano.
E in Lingua Napoletana ci ha lasciato un Catechismo, certo composto per le povere anime di cui si prendeva cura spirituale.
Infine forse non tutti sanno che questo Santo, nella sua lunga vita, ha composto ben cinque Canzoni Pastorali sul Bambino Gesù, sempre presente nelle sue testimonianze di fede, dove gli insegnamenti religiosi familiari si decantano intrecciandosi in una unica vis interpretativa altissima non solo religiosamente ma anche poeticamente.
Il Natale ci mette a diretto contatto col Divino, nelle sembianze di un bambino che è da poco nato.
Il Santo interpreta l’esperienza dell’estasi al momento della nascita di Gesù, ma questa esperienza passa direttamente dallo stupore provato da bambino, quando la mamma gli regalò un piccolo Bambin Gesù raccontandogli la storia di quella Natività, e la nascita dei suoi numerosi fratelli.
La natività dunque fu per il Santo, vissuta come esperienza di stupore del suo interiore Fanciullino, messo in uso molto prima che Pascoli ne fermasse in scritto la Teoria, e lo stupore ha due poli, la nascita in se stessa, avvolta nel mistero e pertanto apportatrice di stupore, e la presenza e la funzione, in ogni nascita di una Madre, per sé e i suoi fratelli e per Gesù.
La devozione alla Vergine fu insegnata al Santo dalla madre, fin dalla più tenera infanzia; la Madonna sarà, già per il giovane Alfonso prima dell’ordinazione sacerdotale, una madre a cui affidare la propria scelta di vita e di religione, una presenza d’ausilio in ogni avversità, un sicuro legame tra lui e quel Pargolo Divino, che sogna sempre con uno stupito Amore.
Crescendo, attraverso l’insegnamento del padre, Alfonso approfondisce un altro aspetto della vita di Gesù, l’ultimo, quello della Passione, ampie sono le riflessioni, anche perché maggiore è l’età e lo studio che lo sorreggono.
Ma infine tutte queste istanze, stabilizzate nel pensiero ormai adulto di Alfonso ne fanno sgorgare una lettura illuminata di quello che per il Santo è la vera essenza del Cristianesimo, l’Amore come veicolo di fede e comportamento di vita per gli uomini.
A ben vedere non è che ci si scosta troppo neppure dalle antiche filisofie, si pensi a Diogene che apprendeva da un bimbo assetato la possibilità di bere senza l’ausilio della ciotola, non è forse questo un insegnamento di semplicità, gioiosa che è testimonianza di Amore allo stato puro, Amore che diventa un enorme motore produttivo, capace di sostenere tutta l’umanità, per tutti i tempi?
Per Alfonso De’Liguori la paglia di Betlemme dove Gesù emette i primi vagiti e la Croce che segna l’ultimo atto della sua parabola terrena, sono direttamente e strettamente collegate, e il trait-d’union è l’Amore.
Il Padre, che pur amava tanto il suo unico figlio, Gesù, era intristito dopo la cacciata dal paradiso terrestre dell’uomo, sentiva la mancanza dell’Amore degli umani. Gesù allora propose la sua discesa e parabola terrena, fatta con Amore, per Amore, accettata per Amore in tutte le sue fasi, anche la passione.
Gesù si fa uomo, nasce sulla terra, con Amore, nella sua vita terrena Ama, per reinsegnarci questo sentimento perduto, e giunge a morire, con Amore, cosciente che ciò che conta è il sentimento e non il dolore del corpo.
Alfonso, che evidentemente è nato con un animo colmo d’Amore, Amore rinfocolato e fortificato dagli insegnamenti appresi nella casa paterna, non può disciplinare o suddividere quell’Amore che, come un fiume in piena, dominerà la sua lunghissima vita terrena.
Nella notte di Natale del 1890 Giuseppe Verdi ebbe modo di ascoltare la messa nella Cappellina di palazzo Doria Genova, dove abitava.
Al termine della funzione religiosa, si congratulò con i cantori, dei ragazzi, “per aver eseguito con buona intonazione quella tradizionale canzone sacra, Tu scendi dalle stelle, senza la quale Natale non sarebbe Natale”.
Questa dunque la testimonianza antica e illustre di un grandissimo Compositore, che a circa 150 anni dalla creazione, indicava quel canto, come l’essenza stessa del Natale di Gesù
E di questa pastorale, il canto di Natale più diffuso della tradizione italiana, autore della musica e delle parole è Sant’Alfonso De’Liguori, certamente il primo Santo cantautore.
Questo Santo è stato autore di musica e parole di altre quarantacinque canzoncine spirituali e di numerosi componimenti poetici.
Alla Pastorale Tu scendi dalle stelle è legato un aneddoto raccontato da Padre Giuseppe Pavone ad Antonio Maria Tannoia, primo biografo del Santo; il primo l’aveva avuta narrata dal protagonista medesimo, don Michele Zamparelli.
La celeberrima menzionata pastorale, fu composta a Nola nel dicembre del 1754, nelle imminenze del Natale.
Nel corso di una delle sue missioni, nel 1754, il Santo stava predicando a Nola, ospite di un sacerdote del luogo, don Michele Zamparelli; il Santo nelle ultime ore prenatalizie compose in quest’alloggio, praticamente in presenza dello Zamparelli, la celeberrima Pastorale. Il sacerdote, ascoltandola per primo in quel momento, subito chiese al Santo di poterla copiare, ma questi gli disse che, dopo averla fatta stampare, gliene avrebbe dato una copia.
Poco dopo, in fretta il Santo scese per celebrare la funzione religiosa del Natale, lasciando i fogli del componimento in vista, il sacerdote poté così copiarli e nascondere quelle copie in una delle sue tasche prima di scendere anch’egli per la funzione, in ritardo, proprio quando il Santo si accingeva, al termine della funzione, ad intonare il nuovo canto.
Sul più bello, proprio a Lui che le aveva composte venero a mancare le parole, allora mandò un chierichetto a chiedere a don Zamparelli: “quei fogli che stavano nel suo taschino”, così si poté cantare la sua nuova Pastorale.
I povero sacerdote fu così mortificato da non volersi più far vedere dal Santo, ma questi lo chiamò facendogli sapere che: “L’avvocato per fargli la causa l’avrebbe pagato lui stesso!”
Ascoltiamo e analizziamo quindi questo bellissimo ricordo del Natale che Sant’Alfonso ci ha lasciato in perpetuo ricordo del suo Amore:
Tu scendi dalle stelle, o Re del cielo,
e vieni in una grotta al freddo e al gelo.
O Bambino mio Divino,
io ti vedo qui a tremar;
o Dio beato!
Ah, quanto ti costò l’avermi amato!
Questo è proprio il punto, il momento, in cui prende l’avvio la riflessione umana di Sant’Alfonso. L’educazione paterna lo aveva indotto a riflettere sulla Passione; col suo modo di esprimersi, semplice , ma carico di quella forza di verità che nutre la semplicità, il Santo riassume la storia di Cristo, composta da moltissime pagine, mirabilmente con la semplicità che era la Sua sigla:
“ Ah quanto ti costò l’avermi amato!”
Questa constatazione in sé contiene un urlo lancinante, quello di un’anima pura che è assalita dalla commozione dinanzi all’estremo sacrificio del figlio di Dio, compiuto soltanto per Amore.
Ed ecco enucleato il magma della fede di questo Santo non per nulla vulcanico come il Vesuvio, carico di sentimenti profondi, che interpreta con deliziosa personalizzazione la morte di Gesù, un atto cruento letto come atto d’Amore, compiuto da Gesù singolarmente per ogni uomo in ogni luogo e in ogni tempo.
E’ per questo che le Parole di questa pastorale struggono il nostro animo pur nella crisalide dell’odierna indifferenza.
A te, che sei del mondo il Creatore,
mancano panni e fuoco o mio Signore.
Un accenno alla povertà, che semplicemente accomuna e affraterna ogni povero a Lui, il Re dei Re, che ha saputo e voluto, privarsi, con Amore, dolorosamente, persino della vita, per gli uomini, senza rimproveri o moniti, ma con semplicità gioia e Amore.
Caro Eletto pargoletto,
quanto questa povertà
più m’innamora,
giacchè ti fece Amor povero ancora.
La risposta nel luminoso cuore di Sant’Alfonso è immediata e ardente, egli ama il pargolo eletto, quella povertà lo rinfocola d’Amore, perché Gesù, per Amore degli uomini, si è fatto povero.
Tu lasci il bel gioir del divin seno
Per giunger a penar su questo fieno.
Dolce Amore del mio core,
dove Amor ti trasportò? O Gesù mio,
perché tanto patir ? per amor mio!
Gesù per Amore degli uomini ha lasciato il seno materno, soffre sulla terra, trasportato dall’Amore. Sant’Alfonso non sa darsi pace per quanto l’ Amore Divino ha saputo operare in Gesù per Amore di ogni singolo uomo.
Il Santo definisce Gesù “Dolce Amore del mio cuore”, poiché è attraverso Gesù che il Santo ha potuto conoscere l’Amore e i suoi benefici.
Ma se fu tuo voler il tuo patire,
perché vuoi pianger poi, perché vagire?
Mio Gesù, t’intendo si!
Ah, mio Signore!
Tu piangi non per duol, ma per Amore.
Anche il vagito del Divino Bambinello è sintomo d’Amore e non di sofferenza.
Tu piangi per vederti da me ingrato
Dopo sì grande Amor, sì poco amato!
O Diletto del mio petto,
Se già un tempo fu così, or te sol bramo
Caro, non pianger più, ch’io t’Amo e T’Amo.
Oppure, forse, pensa il Santo, Gesù piange perché offeso dall’ingratitudine umana.
Tu dormi, Ninno mio, ma intanto il core
Non dorme, no ma veglia a tutte l’ore.
Deh, mio bello e puro Agnello
A che pensi? Dimmi tu, o Amore immenso,
Un dì morir per te, rispondi, io penso.
E l’immedesimazione d’Amore tra Alfonso e Cristo procede sui gradi di approfondimento dell’Amore che fanno pensare al Santo di poter giungere a morire per Gesù.
Dunque a morire per me, tu pensi, o Dio
Ed altro, fuor da te, Amar poss’io?
O Maria, speranza mia,
se poc’Amo il tuo Gesù, non ti sdegnare
Amalo tu per me, s’io nol so Amare!
Conclude Alfonso con una invocazione di aiuto a Maria la Madre di Gesù, il Santo, pur non potendo Amare che Gesù sente di essere solo un uomo, con una limitata potenza sentimentale, chiede pertanto alla Vergine di aiutarlo con la sua intercessione a potenziare il suo sentimento d’Amore.